di Isabella Rauti
Le polemiche dei giorni scorsi, scatenate dai casi di violenza sessuale che si sono susseguiti a Roma, ed in altre zone e città italiane (a Guidonia, a Brescia ed a Genova) come una catena maledetta di coincidenze, rischiano di spostare il baricentro del problema.
E, nella concitazione dei toni sempre più alti e nella confusione delle notizie incalzanti, il perimetro della “questione violenza sulla donne” viene sfumato confusamente e, paradossalmente, va perdendo terreno.
Sugli atti di violenza, in genere e sugli stupri in particolare, ogni strumentalizzazione politica non solo è una raccapricciante speculazione ma diventa anche fuorviante e rischia di allontanare ogni ragionamento ed ogni soluzione condivisa. La questione non è e non può essere politicizzata; si tratta, infatti, del confine sottile fra civiltà e barbarie. Si tratta, anche, di sicurezza delle città nel metodo ma nel merito si chiama involuzione culturale, di mentalità e di costume. Di quella “emergenza sicurezza” nelle città che la sinistra ha negato e che la destra, invece, ha posto come priorità e sta affrontando. Ma torniamo al merito. L’edonismo sfrenato ed il consumismo selvaggio – insieme a quel liberismo sregolato e senza etica che implodendo su se stesso ha generato una crisi economica mondiale – hanno contribuito scientificamente a svilire la dignità delle persone, uomini e donne. Le società postmoderne non hanno globalizzato i diritti umani, piuttosto hanno progressivamente corroso i valori fondamentali, le identità, i generi, le diversità. Ed anche le ondate migratorie, hanno contribuito a creare sacche di emarginazione, di illegalità e di clandestinità che incidono fortemente sulle meccaniche di violazioni delle leggi e delle regole; e su questo fronte un certo buonismo ipocrita ha fatto il resto. Ed ha fatto solo danni.
E, la cronaca ci restituisce episodi di violenze – nelle grandi città come nelle province – ai danni delle donne ma anche, sempre più spesso, nei confronti dei minori e dei portatori di Handicap, più in generale nei confronti dei soggetti definiti vulnerabili.
E si tratta di una violenza definita multidimensionale che va dalle forme di violenza fisica e psicologica, consumate e subite anche all’interno delle mura domestiche, fino agli atti di violenza sessuale ed agli stupri, da parte di individui o di gruppi, nelle strade o in luoghi pubblici. E non da oggi. Ricordiamo, ad esempio, il Rapporto ONU (ottobre 2006) – 130 pagine sulle violenze fisiche, sessuali, psicologiche e sulle violazioni subite dalle donne nelle guerre e nei conflitti – ha definito la “violenza sulle donne come un flagello mondiale” che si tratti di tempi di pace o di guerra; mentre l’OMS ha reso noti i risultati di uno studio sul fenomeno della violenza, definendolo generalizzato e diffuso “sia nei Paesi industrializzati che in quelli in Via di Sviluppo, a Occidente come ad Oriente, a sud e a nord, nelle aree rurali ed in quelle metropolitane”.
Ricordiamo anche, che oggi in Italia lo stupro è un reato (delitto) contro la persona e non più genericamente contro la morale e la società, grazie alla legge contenente “Norme contro la violenza sessuale” (n.66 del 15 febbraio 1996) il cui approdo fu lungo, sofferto e difficile. E, ricordiamo pure che, nonostante le previsioni normative, gli episodi di violenza contro le donne continuano (solo un dato, più di mezzo milione le donne vittime di stupri o di tentativi di violenza sessuale, Fonte ISTAT, 2006) ed è stato presentato di recente, dal Ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna un ddl su “Misure contro la violenza sessuale”, contente modifiche al Codice penale, tese a rafforzare la tutela penale in caso di recidiva, ad introdurre aggravanti connesse alla modalità di azione del colpevole, nonché volte ad accelerare i tempi di giudizio e, soprattutto, ad una maggiore certezza della pena!
Questo il quadro di riferimento, nell’eterna consapevolezza che le norme, da sole, non bastano se non si determina un cambiamento culturale e di mentalità e non si supera la “violenza” intesa e vissuta come modalità di relazione. Sia tra gli individui che tra i gruppi. E questo è se non il punto, un punto. Nello squilibrio relazionale tra i sessi, riemerge la volontà di possesso e di controllo ed emerge la voglia di ripristinare “antiche gerarchie” che sono state contraddette e rovesciate. Resta irrisolta , comunque, la questione della libertà femminile e non si vuole intendere quella sessuale, ma quella personale e legata all’identità di genere.
E qui non si tratta di semplice “machicismo” fastidioso ed idiota, né basta aumentare la sicurezza (condizione necessaria ma non sufficiente); piuttosto, qui si tratta di ricentrare tutti il valore e la dignità della persona, di tutelare i diritti fondamentali, inserendoli nelle agende dei governi. Quando, il dato etico, può essere buona cifra della politica, mai delle sue strumentalizzazioni.
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