RIAD, 30. Un volto femminile quasi interamente coperto dal niqab che lascia libero solo gli occhi, di cui uno tumefatto: è l’immagine sconvolgente scelta per la campagna contro la violenza sulle donne in Arabia Saudita, la prima mai lanciata nel regno wahabita. «Certe cose non si possono coprire», si legge sui manifesti contro le violenze familiari, finanziati dalla fondazione del re Khalid. A provocare l’inversione di rotta, in un Paese dove le donne sono soggette a forti limitazioni della libertà, è stata l’atroce fine della piccola Lama Al Ghamdi, la bambina di 5 anni morta nel 2012 dopo aver subito abusi ed essere stata torturata e selvaggiamente picchiata dal padre, Fayhan Al Ghamdi, un volto noto della televisione. In Arabia Saudita, dove vige la pena capitale, un uomo non può però essere condannato a morte per l’omicidio di un figlio o di una moglie. Tuttavia, l’episodio — come riferiscono le agenzie di stampa internazionali — ha suscitato la reazione indignata dell’opinione pubblica e l’uomo, dopo quattro mesi in detenzione preventiva, è stato nuovamente incarcerato a tempo indeterminato per ordine della corte reale. Recentemente, le autorità dell’Arabia Saudita avevano concesso alle donne di andare in bicicletta nei parchi e nelle zone ricreative. Due le condizioni imposte: «che siano vestite in modo modesto e che sia presente un guardiano in caso di cadute o incidente». Il permesso concesso alle saudite si limita solo a «scopo di divertimento», cioè la bicicletta non può ancora essere usata come mezzo di trasporto.
Osservatore Romano – Campagna contro la violenza sulle donne in Arabia Saudita
[File pdf - 102 Kb]
Stay Connected