di Giulia Galeotti
I fatti sono ormai tristemente noti. Stuprata e seviziata il 16 dicembre scorso da cinque giovani a Delhi, una studentessa di medicina ventitreenne è morta diversi giorni dopo. L’episodio è stato una miccia: sebbene non si tratti di un’eccezione — secondo i dati del National Crime Records Bureau, in India ogni 22 minuti avviene uno stupro, e si tratta solo dei casi segnalati alla polizia — il fatto ha suscitato orrore e sdegno tra la gente. Anche nella stessa India, dove molti hanno iniziato a chiedere giustizia per le vittime di questi reati. Facilità, frequenza, impunità: queste le caratteristiche della violenza sessuale praticata in India, Paese sconfinato in cui ancora resistono ampie sacche di disprezzo verso le donne. «Una femmina la puoi liberamente comprare, vendere, acquistare, abbandonare, percuotere, tenere o uccidere»: è solo una delle tante testimonianze che compaiono in It’s a girl (2012), film-documentario di Evan Grae Davis che denuncia il gendericidio regolarmente e impunemente praticato a prescindere dalle differenze (se non nelle modalità) di classe, censo e livello di istruzione. «E arrivato un ladro»: questo detto indiano, che si pronuncia quando nasce una femmina, è il riassunto migliore per illustrare il modo in cui la società locale considera le donne. Il disprezzo verso di loro — considerate più cose che persone — dura tutta la vita. The devaluation of women and girls is widespread: feticidio, infanticidio, mancanza di cure (una bimba su quattro non arriva alla pubertà; la mortalità per le femmine tra i e 5 anni è del 4o per cento superiore a quella tra i maschi; le bambine sono autorizzate a morire, i bambini no) e, ancora, abusi, indifferenza, violenza, stupro, omicidi. Mogli uccise perché non restano incinte, perché non partoriscono il maschio, perché i mariti non sono soddisfatti della dote ricevuta. E quella che nella pellicola viene definita la completa “deumanizzazione” delle femmine. Questo sguardo — sociale, prima che giuridico — uccide nel corpo e nello spirito bambine e donne. Bambine e donne che, anche quando sopravvivono, vengono private della capacità di vivere liberamente, abitare e nominare la realtà. Obiettare che le persone scese in piazza in India rappresentano solo una infinitesima parte della popolazione totale — più di un miliardo e 173 milioni di abitanti — non ha senso. Né da un punto di vista sociologico, né storico. Tutti i movimenti che in Occidente hanno richiesto l’emancipazione femminile hanno inizialmente coinvolto pochissime persone: quante erano le donne inglesi per le quali nel 1906 il «Daily Mirror» coniò il termine “suffragette”? Se gli stupri in India sono la regola, le proteste recenti sono la meravigliosa, nuova eccezione. Qualcosa si va incrinando. C’è un sassolino, prima di qualsiasi valanga.
Osservatore Romano – La regola e la meravigliosa eccezione
[File pdf - 119 Kb]
Stay Connected