L’angolo della giustizia
Bruno Ferraro [Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione]
Un’associazione di servizio molto presente in Italia e molto diffusa nel mondo, quest’anno ha scelto di dibattere sul tema relativo all’abuso sui minori e alla violenza nei confronti delle donne. Scelta sicuramente appropriata e meritoria investendo aspetti profondamente degenerativi della nostra società, globalizzata, multietnica e multirazziale. Scelta da considerare opportuna, rientrando i due fenomeni nel più generale paradigma della mancanza di considerazione e di rispetto nei confronti di soggetti che, almeno sul piano fisico, rappresentano anelli deboli e indifesi. Si tratta, per la verità, di fenomeni apparentemente stazionari (se si guardano i dati contenuti nelle relazioni dei Presidenti di Corte di appello in occasione della recente cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario) ma sostanzialmente in continua ascesa (qualora si tenga conto del «sommerso» e degli sviluppi collegati ai più dolorosi fatti di cronaca). Sempre più le forze di polizia e la Magistratura si organizzano costituendo nuclei specializzati; sempre più si avverte il bisogno di collegamenti con altre realtà (scuole, servizi sociali, psicologi esperti dell’età evolutiva); sempre più si auspica la necessità di una seria prevenzione di carattere culturale. Sensibilizzare ed educare i ragazzi, aiutarli a superare le barriere culturali (si pensi che di recente ho parlato in una scuola romana dove più dell’80% degli studenti sono figli di immigrati!), costituiscono un imperativo categorico per quanti vogliono operare concretamente. Famiglia e scuola infatti sono gli ambiti privilegiati per questo tipo di approccio. Ciò posto, la citata Associazione, nell’affrontare il tema, ha voluto però lanciare una sorta di grido di battaglia aggiungendo «combattiamo il silenzio». Su questa aggiunta esprimo perplessità. Il problema, infatti, non è portare allo scoperto il mondo sommerso degli abusi e delle prevaricazioni, in quanto su questo piano il muro dell’omertà, del silenzio complice, del falso pudore, è stato da tempo abbattuto. Se mai, occorre individuare il canale giusto, l’approccio appropriato, l’informazione congrua ma non pruriginosa, la doverosa attesa per una verità processuale che non è quella delle Procure della Repubblica, bensì quella raggiunta al termine del vaglio dibattimentale e consacrata nelle sentenze dei giudici. Invece, il più delle volte, tocca constatare il facile adagiarsi sulle prime indagini, la sommarietà delle prove, l’enfatizzazione dei primi indizi, la ricerca del mostro da sbattere in prima pagina. E vero che si tratta in genere di reati che non hanno testimoni, ma proprio per questo la cautela è d’obbligo: le facili verità iniziali lasciano il posto alle «nebbie» dell’indagine dibattimentale, con il risultato di non difendere adeguatamente le vittime (in particolare i minori) e di avere come ulteriori vittime i facili colpevoli iniziali. Da uomo di diritto, quindi, sento il dovere di lanciare un monito, auspicando la massima professionalità degli inquirenti, la sobrietà dell’informazione, il massimo rigore nella ricerca e nella valutazione degli elementi probatori. In difetto, non dobbiamo meravigliarci se il processo per l’assassinio di Meredith e quello per le violenze sui minori nella scuola di Rignano Flaminio, sbollite le certezze iniziali, si sono concluse con clamorosi verdetti assolutori.
Libero – Occhio alle facili verita’ sugli abusi ai minori e la violenza alle donne
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