di Carlo Rimini
La frequenza con cui la cronaca ripropone casi di violenza nell’ambito delle relazioni familiari, talora con esiti drammatici, rende indispensabile un intervento per fermare finalmente i barbari comportamenti degli uomini che alzano le mani contro la loro compagna di vita o contro i figli. Il decreto che il governo si accinge ad approvare va in questa direzione. Peraltro, anche il Parlamento europeo ha approvato alla fine di maggio la bozza di un regolamento sulla violenza domestica che sarà entro giugno sottoposto all’approvazione del Consiglio dei ministri europei della giustizia. Non siamo di fronte a misure che prevedano un semplice innalzamento delle pene: l’esperienza infatti insegna che l’inasprimento delle sanzioni ha un’efficacia preventiva piuttosto modesta. Le nuove norme, invece, mirano soprattutto a consentire alle forze dell’ordine di intervenire anche in assenza di una querela della persona offesa e persino di una semplice richiesta di aiuto. E frequente, infatti, che la vittima della violenza domestica non quereli il suo aggressore e non si rivolga alle forze dell’ordine per paura o perché ancora legata a lui sentimentalmente o anche solo economicamente. Capita persino che la vittima, dopo avere presentato la querela, decida di ritirarla. Particolarmente apprezzabile è la norma che consente di concedere il permesso di soggiorno allo straniero vittima di violenze domestiche che abbia denunciato il suo persecutore. Il clandestino si trova infatti in una situazione di particolare vulnerabilità nei confronti del familiare violento poiché sa di non poter chiedere aiuto proprio a causa della sua clandestinità. Eppure è difficile ritenere che le nuove norme saranno sufficienti per eliminare questa piaga. Chiunque abbia un minimo di esperienza del problema sa che, per contrastare la violenza domestica, è essenziale la prontezza nella reazione dello Stato. Chi picchia la moglie, la compagna, l’ex fidanzata, dovrebbe sapere che finirà immediatamente dietro le sbarre, magari solo per qualche giorno, fino a che non si sarà calmato. Deve sapere che il suo comportamento è a tal punto lontano da ciò che tutti noi consideriamo civile che immediatamente egli merita la privazione della libertà. In Italia invece la vittima della violenza sa che, se denuncia l’aggressore, rischia che il compagno sia interrogato e poi torni a casa, probabilmente più cattivo di prima. Poi certo, dopo mesi o anni, si farà il processo e il persecutore sarà condannato a qualche anno di reclusione, che probabilmente mai sconterà perché beneficerà della sospensione condizionale della pena. Si dovrebbero dunque introdurre norme che consentano l’arresto da parte delle forze dell’ordine anche se l’autore non viene colto nell’atto di commettere la violenza, ma viene individuato immediatamente dopo. Qualche cosa di simile è stato previsto pergli autori di violenze durante le manifestazioni sportive. Si dovrebbe consentire che gli autori della violenza siano sempre sottoposti a giudizio direttissimo. Ricordo una signora che da anni veniva regolarmente picchiata dal marito, ma non aveva il coraggio di denunciarlo. La coppia andò in Spagna per le vacanze e lui, come al solito picchiò la moglie. Lei urlò, un vicino chiamò la polizia. Dopo qualche ora arrivarono due agenti: un uomo e una donna. La signora aveva un livido attorno ad un occhio. Lo portarono via immediatamente senza molte parole e tanti complimenti. Lo rilasciarono dopo qualche giorno in attesa del processo. La signora capì che non era normale venire picchiata e chiese la separazione. Lui comunque non la picchiò più.
La Stampa – Per chi picchia una punizione immediata
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