MILANO
Essere più sensibili, informati, consapevoli di un problema odioso e indegno dei tempi moderni. È questo lo scopo della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, indetta dall’Onu per oggi, 25 novembre, da molti anni.
Perché è stata scelta questa data?
L’occasione è una ricorrenza di alto valore simbolico. Il 25 novembre è il giorno in cui, nel 1960, vennero torturate e uccise Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, sorelle eroine della lotta di liberazione della Repubblica Domenicana, torturate e uccise su mandato del dittatore Rafael Trujillo.
Che tipo di iniziative ci saranno?
Iniziamo col dire che Paesi il colore della giornata è l’arancione. Una sciarpa, una maglia, un cappello: sono molte e molti oggi, in tutto il mondo, a indossare qualcosa di quel colore, per dimostrare la sensibilità nei confronti del tema. Ma in Italia è protagonista un altro colore: il rosso. Di rosso sarà illuminato il Campidoglio, a Roma, stasera. Drappi e striscioni rossi sono esposti da privati e Comuni in tante città d’Italia. E il rosso è il colore dello «sciopero delle donne», protesta spontanea e simbolica, della durata di qualche minuto, scelta da molte lavoratrici. Lo scopo è richiamare l’attenzione sul problema dei femminicidi.
È vero che i femminicidi in Italia sono in aumento?
La risposta non è così semplice e c’è da fare una premessa. Una donna uccisa non è un femminicidio. Correttamente, si parla di femminicidio solo quando un uomo uccide una donna in quanto tale, perché viene meno ai suoi presunti doveri, perché rifiuta una relazione e simili: in tutti i casi, cioè, in cui si verifica una violenza «di genere». I casi di donne uccise da altre donne, oppure durante una rapina – per esempio – non possono evidentemente rientrare nella casistica.
Come si fa allora a distinguere un femminicidio da un omicidio «normale»?
Non è facile, perché nel nostro Paese – a differenza di altri – non esiste un osservatorio nazionale sul fenomeno. Tuttavia, un indizio della crescita dei femminicidi c’è. Negli ultimi vent’anni, il numero totale di omicidi in Italia è crollato in modo drastico: da 1.916 del 1991 fino ai 526 (da record) del 2012. Nello stesso periodo, il numero di donne uccise è rimasto invece costante: significa che la quota dei delitti con vittime di sesso femminile rispetto agli omicidi totali sta crescendo.
Resta il problema di capire quali di questi delitti siano femminicidi e quali no…
Certo. Per questo c’è un metodo forse meno «scientifico», ma più efficace. Guardare la cronaca e registrare le notizie di femminicidi caso per caso. Lo facciamo da tempo sul nostro sito, con la mappa all’indirizzo www.lastampa.it/societa/donna/speciali/femminicidio/2013. Dai nostri dati risultano 93 femminicidi in tutto il 2012 e già altri 93, fin qui, nel 2013. Abbastanza per prendere il fenomeno molto seriamente.
Ci sono altri indicatori da tenere in conto?
Sì, non dimentichiamo che la Giornata di oggi guarda alla violenza di genere nel suo complesso, non solo ai femminicidi. E allora è utile notare come al numero 1522 – la linea di supporto per maltrattamenti e stalking attivata dal governo a dicembre 2012 – siano arrivate 55.459 chiamate in poco più di dieci mesi. La cifra è in continuo aumento e a ottobre c’è stato un picco di 6.450 in un solo mese. Anche in termini economici, il problema non è da poco: ogni anno la violenza di genere costa almeno 16,7 miliardi di euro. «Non ce la possiamo permettere – ha spiegato ieri la presidente della Camera Laura Boldrini – ci costa in termini giudiziari, di mancato lavoro, assistenza sanitaria. Bisogna investire di più nella prevenzione».
Cosa si sta facendo su questo piano?
Un passo importante è stato il decreto sul femminicidio, convertito in legge l’11 ottobre scorso, quello che ha permesso all’Italia di ratificare la Convenzione di Istanbul. Le nuove norme hanno inasprito pene e misure cautelari per le violenze domestiche, specie se in presenza di minori e contro donne incinte. Inoltre, consentono alla polizia giudiziaria (su autorizzazione del pm) di imporre l’allontanamento dell’aggressore – che potrà essere controllato con un braccialetto elettronico – dalla vittima di maltrattamenti o stalking. La legge prevede anche un piano per il rafforzamento dei centri anti-violenza e case-rifugio.
Ciascuno o ciascuna di noi che cosa può fare concretamente?
La prevenzione migliore è sempre quella operata dal basso. Sono i semplici cittadini le sentinelle più efficaci contro quest’odioso problema, i primi a dover essere informati e sensibili verso un tema che non si può più eludere. Chi è vittima di violenze deve invece – innanzi tutto – trovare la forza di denunciare. Anche quando l’aggressore è un famigliare, una persona un tempo cara e che si pensava di conoscere. «Un uomo che ti picchia, non ti ama», disse Luciana Littizzetto nel suo famoso monologo al Festival di Sanremo quest’anno. Impossibile darle torto.
[Fonte: www.lastampa.it]
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