di Lorenzo Cremonesi
Tre donne velate e bloccate in un pavimento di sassi. La denuncia della lapidazione fisica e culturale, che le donne subiscono in Tunisia potrebbe costare caro a Nadia Jelassi. Che affida il suo futuro, e quello del Paese, alla forza della piazza
SEMBRA DI ESSERE SCIVOLATI indietro, ai secoli dell’Inquisizione! Neanche ai tempi di Zine El Abidine Ben Ali era mai accaduto che un artista venisse incriminato formalmente per le sue opere». Frustrata, arrabbiata, ma anche intimorita, spaventata. Quando le telefonano, Nadia Jelassi non risponde a numeri sconosciuti. «Non di rado mi chiamano solo per insultare e minacciare. Mi accusano di avere offeso Allah e il Profeta, dicono che sono corrotta dalla cultura occidentale, che attento all’onore delle donne musulmane, che sminuisco il loro ruolo nell’Islam» spiega nel suo ufficio di insegnante alla Facoltà di Arte moderna dell’Università di Tunisi. In verità lei, a 44 anni, si sente in prima fila sulle barricate di quella che definisce una «gigantesca guerra culturale con gli estremisti islamici», che a suo parere «stanno rubando la rivoluzione al popolo tunisino». E la combatte con l’unica arma capace di maneggiare con destrezza: la scultura. Le sue tre statuette di mezzibusti di donne velate, appoggiate su un tappeto di sassi, sono state considerate dagli integralisti una provocazione. Aggravata dal titolo: Celui qui n’a pas…, parafrasando, quello che non ho. Perché la minaccia della lapidazione schiaccia da sempre tutte le donne nell’universo musulmano. Ieri, oggi, domani. La reazione è stata immediata da parte dei più oltranzisti: bruciati i locali dell’esposizione, aggrediti i responsabili della galleria e lei addirittura trascinata in tribunale, dove i giudici fino a ora si sono dimostrati parecchio disposti ad ascoltare le ragioni dei suoi accusatori. Siamo venuti a trovarla su indicazione di un’amica e vecchia compagna di “lotta”, Leila Toubel, celebre attrice e sceneggiatrice allo El Hamra, vera istituzione storica fra i teatri d’avanguardia del Paese. «Nadia è una delle tante vittime di questa persecuzione crescente contro la società laica. Il grave è che i salafiti (gli islamici radicali, ndr) mirano all’arte perché sono interessati più di ogni altro movimento a forgiare la cultura del Paese. Guardano alle scuole, ai media, ai cinema, a tutto ciò che può formare le nuove generazioni. Se dovessero vincere loro, tra meno di trent’anni le moschee avranno il sopravvento» ci ha raccontato. Il caso di Nadia cresce nei mesi estivi. A metà giugno viene appiccato il fuoco al locale di una galleria a Marsa. Lì, accanto alle tre donne velate, sono esposti dipinti satirici di uomini barbuti. Il loro autore, Mohammed Ben Salamah, viene minacciato di morte e fugge a Parigi. Nadia si nasconde da conoscenti. I suoi nemici approfittano delle connivenze con il nuovo partito religioso Ennahdha, grande vincitore alle elezioni del 23 ottobre 2011 e da dicembre asse portante del nuovo governo, per trascinarla in tribunale. Qui, a fine agosto, i giudici l’accusano formalmente di avere violato “le leggi del pudore e dei pubblico buon gusto”. Lei ricorre in appello. Ma rischia almeno cinque anni di carcere. «E la prova che ormai non c’è alcuna differenza tra salafiti ed Ennahdha. Ai tempi di Ben Ali venivano perseguitati, ora dettano legge, e per noi sarà sempre peggio. Hanno sequestrato lo spirito originario della nostra rivoluzione, che era liberale, democratico, aperto al mondo e alla liberazione delle donne» protesta Nadia. Quando andiamo a chiedere allo stesso Rached Ghannouchi, leader fondatore di Ennahdha, cosa pensa della persecuzione contro la scultrice, questi si defila con un semplice: «Non sta a me dire, da noi il potere giudiziario è indipendente. Ci penseranno in tribunale. Nulla a che fare con il nostro partito».
MA È PROPRIO SU QUESTO punto che Nadia sì batte con maggior forza. «Il problema più grave è che ormai i religiosi si stanno appropriando della macchina dello Stato». Il tema si è riproposto negli ultimi giorni con il caso di una ragazza colta in atteggiamenti intimi assieme al fidanzato, arrestata e violentata da tre poliziotti. Ora è accusata di aver offeso “il pubblico pudore”, rischia il carcere. Nadia però resta ottimista. «La rivoluzione dell’anno scorso ha dimostrato che la nostra società civile ha la forza interna per reagire. Quando i religiosi tireranno troppo la corda torneremo in piazza» dice. Lasciando il suo ufficio nel campus universitario una grossa scritta nera imbratta i muri che danno sulla strada: «L’esercito di Maometto arriverà presto».
“I religiosi hanno sequestrato lo spirito originario della nostra rivoluzione, che era liberale, democratico, aperto al mondo e alla liberazione delle donne”
Io Donna – Nella guerra contro gli integralisti islamici la mia arma e’ l’arte
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