di Marzio G. Mian
Sono le donne il motore del cambiamento e di una crescita che promette numeri da tigri asiatiche.
Lo raccontano in eclusiva a Io donna le ambasciatrici che a Roma rappreentano alcuni tra i maggiori Paesi del Continente. Loro insieme a tante altre,hanno raccolto l’appello lanciato dalla liberiana Ellen Johnonirlea ~ quando sette anni fa diventò la prima presidente donna:”Africane,siete pronte per la storia?”. Oggi davvero la Storia sono loro. Le diplomatiche della nostra copertina sono l’esempio della nuova Africa. Certo, c’è ancora molto da fare. Perché la loro terra resta la più povera del mondo perché sono le donne le maggiori vittime dell’arretratezza sanitaria, scolatica e della piaga dell’Aids. Ma la nuova leadership femminile è determinata a trasformare quelle società. In ogni campo, dalla politica alla scienza, all’imprenditoria. L’Italia è centrale nelle relazioni internazionali dell’Africa e il nostro ministro degli Eteri risponde con un impegno forte: “Sono le africane il nostro nuovo interlocutore”.
LE AMBASCIATRICI africane della nostra copertina hanno un’incredibile forza simbolica.Rappresentano in Italia alcuni tra i più importanti Paesi del continente e hanno posato insieme per Io donna con lo spirito (e la gioia) diraccontare al mondo che le donne stanno cambiando il destino dell’Africa. Sono loro il nuovo motore di un grande mutamento che nei numeri vuol dire una crescita economica annua complessiva di quasi i1 6 percento (secondo la Banca Mondiale,«l’Africa sta per decollare, come capitò alla Cina 25 anni fa e all’India 15 annifa») ma che nelle realtà dei singoli Paesi, dalle Piramidi al Capo di Buona Speranza, si racconta soprattutto attraverso l’affermazione, in ogni campo, di una leadership femminile determinata a trasformare radicalmente quelle società. Pensate che la media delle donne elette nei parlamenti dell’Africa Sub-sahariana è del 22 percento (il Ruanda sfiora il 60percento); gli Stati Uniti, laFrancia, il Giappone stanno al 19, l’Italia purtroppo solo al 17. Sedici Paesi africani hanno più parlamentari donne della Gran Bretagna. Ma l’icona di questa rivoluzione gentile è la liberiana Ellen Johnson Sirleaf, diventata, nel 2oo5, la prima presidente donna del continente. E che, non a caso, apre la nostra galleria esclusiva delle diplomatiche africane.
QUANDO SONO LE DONNE A SCRIVERE la storia lo fanno in modo diverso rispetto al passato. Prendete la neo-presidente del Ma1awi, Joyce Banda. Due mesi fa l’African Union, l’organizzazione che promuove la cooperazione tra i Paesi africani ha organizzato proprio nella capitale malawiana un incontro con il leader sudanese Ornar Hassan-Bashir, ricercato dalla Corte criminale internazionale, e lei, JoyceBanda, ha fatto sapere che ne avrebbe autorizzato l’estradizione. E un’altra donna – forse la più potente dell’Africa – Nkosazana Dlamini-Zuma, ex moglie del presidente sudafricano Jacob 2uma, appena diventata capo dell’Unione africana, le ha dato manforte costringendo tutti a spostare l’incontro in Etiopia. La carica delle africane è impetuosa. Al World Economic Forum, l’Africa è rappresentata dal ministro delle Finanze nigeriano NgoziOkonjo-Iweala. II Procuratore capo della Corte internazionale per i crimini di guerra è ora Fatou Bensouda, magistrata del Gambia. Perfino tra i Tuareg, la cui cultura tradizionale è tra le più patriarcali e maschiliste dell’Africa, spicca – unica donna – la figura di Nina Wallet Intalou, fiera dirigente del Movimento di liberazione nazionale dell’Azawad, che ha proclamato di recente una repubblica indipendente nel nord del Mali.
NON MANCA, IN QUESTO PANTHEON femminile africano, l’alloro del Nobel per la Pace. Nel 2011 ha incoronato tre donne, due delle quali – oltre alla yemenita Tawakkul Karma – sono africane: la presidente Johnson Sirleaf (appena uscita in Italia, per Add editore, la sua autobiografia, Un giorno sarai grande) e Leyrnah Gbowee, militante pacifista, anche lei liberiana. Complicato parlare di donne, e soprattutto di donne africane. Sono ancora le maggiori vittime dell’arretratezza culturale e sanitaria, della miseria (400 milioni di poveri nella fascia sub-sahariana), della piaga dell’Aids. Lo stupro continua a essere arma di guerra. Ma allo stesso tempo sono diventate, sfidando pregiudizi e consuetudini tribali, la forza trainante della società, il volano dell’economia rurale, l’avanguardia nella scienza, nella tecnologia, nella gestione delle risorse naturali ed energetiche, nel grande business globale. Come Bethlehem Tilahun, 33 anni, fondatrice di Sole Rebels, industria calzaturiera, uno dei nuovi brand del made in Afica riuconosciuti nel mondo: “Penso che 1’80 per cento del nostro Pil sia prodotto dalle donne» dice. In Sudafrica Sibongile Sambo ha fondato una compagnia aerea di charter. In Kenya Ory Okello,23 anni, ha inventato un software per monitorare in tempo reale le emergenze urbane ora adottato da Google. In Nigeria Adenike Ogunlesi ha costruito un piccolo impero di abiti per l’infanzia cominciando da zero, da ambulante villaggio per villaggio. In Uganda Lovin Kobusingya ha inventato le salsicce di pesce e lavora 8 tonnellate di pescato la settimana: «Oggi noi giovani africane non ci accontentiamo di uscire dalla povertà» afferma «Vogliamo la prosperità. Che non vuol dire essere milionarie, ma abbastanza forti per far diventare l’Africa in questo secolo quel che l’America è stata nell’altro».
LIBERIA – Ellean Johnson Sirleaf
Apriamo la nostra rassegna femminile dedicata alla nuova Africa con un capo di Stato. «Donne africane siete pronte per la storia?» chiese con il suo piglio retorico e autorevole la neo presidente della Liberia nel 2005, appena vinte le elezioni. Noi di Io donna eravamo li a Monrovia e queste parole avevano una forza speciale perché pronunciate in un Paese appena uscito da una guerra civile durata 14 anni che aveva provocato 250 mila morti. Era la prima donna eletta a guidare uno Stato africano; lo scorso anno ha ritirato il Nobel per la Pace a Stoccolma e ha vinto il suo secondo mandato… Il crescente ruolo delle donne in Africa a tutti i livelli cambierà presto il destino del continente» ci dice “MaEllen” come la chiamano i liberiani: «Sono madri e quindi detenninanti nei processi di pace, nel pretendere investimenti nella salute e nell’educazione, nella lotta alla corruzione e nella politica della distribuzione delle risorse energetiche. Anche gli economisti africani hanno capito che la prosperità si raggiunge solo con la formula donne+istruzione».
BENIN – Rosemonde Deffon Yakoubou
«Nella mia nazione il 70 per cento della popolazione femminile vive nelle aree rurali ed è responsabile dell’80 per cento della produzione agricola» dice l’ambasciatrice del Benin in Italia, diplomatica di carriera e rappresentante permanente presso la Fao. «Il governo ha cominciato a investire concorsi di specializzazione e la fornitura gratuita di trattori alle donne. Gli impianti di irrigazione sono gestiti per il 75 percento da donne. Anche il recupero delle vaste aree agricole iper sfruttate dalla produzione del cotone e rese infertili dai pesticidi, è affidato alle donne che stanno convertendo tutta la filiera al biologico. Si sono formate cooperative di donne come la Association of Courageous and Active Women (AFVA), una Ong che ha fatto rinascere 250 ettari di coltivazioni nella zona di Bonikoara triplicando il raccolto in tre anni. Sono nate imprenditrici agricole come Mamaambo Bapa che con i ricavi del cotone ha avviato un’attività casearia e un’allevamento di bestiame, dando lavoro a decine di altre donne».
SUDAFRICA – Thenjiwe E. Mtintso
Le sorelle sudafricane hanno pagato l’apartheid tre volte, in quanto lavoratrici, donne e nere» dice l’ambasciatrice, una delle figure più imponanti dell’Anc, il partito oggi al potere a Pretoria.«Tra il 1976 e il 1978 ho panecipato attivamente alla guerriglia e sono stata incarcerata cinque volte» racconta «poi ho dovuto lasciare il Paese fino a quando Nelson Mandela mi ha chiamata per entrare nel Comitato centrale del partito e avviarmi alla carriera diplomatica. Ma la mia battaglia è stata nel processo dipacificazione che ho contribuito a esportare in Uganda, Burundi e Ruanda. Faccio parte della Women coalition che raggruppa le donne di tutti i partiti e che ha ottenuto l’inserimento dei diritti delle donne nella nuova Costituzione. Il Sudafrica vanta una legge che impone la quota del 50 percento di donne sia nel pubblico che nel privato. InParlamento siamo il 43 per cento, occupiamo il ministero della Difesa, degli Esteri, dei Minerali edell’Energia».
GHANA – Evelyn Anita Stokes-Hayford
«Ricordatevi che il Ghana nell’Ottocento ha avuto una reginaguerriera,Yaa Asantewaa, che ha condotto la sua gente alla vittoria contro gli inglesi…» dice l’ambasciatrice Ein dall’indipendenza, nel 1957, in Ghana non è mai esistita la sindrome del soffitto di cristallo (almeno per gli stati nordardafricani): le donne hanno pari opportunità in ogni settore, dalla politica alla medicina, alla legge, alla scienza, alla diplomazia. Oggi l’economia del mio Paese si regge sulle “market mummies”, sono loro la spina dorsale della nostra economia, imprenditrici che non conoscono ostacoli e fatica. Penso a Esther Ocloo, che ha creato dal nulla una gigantesca impresa di prodotti in scatola. Penso al crescente ruolo delle donne nella tech economy, a figure come Dorothy Gordon direttore generale di uno dei più avanzati istituti di Information technology del mondo. Molte donne occupano i vertici delle istituzioni, dalla presidenza dell’Assemblea nazionale al ministero della Giustizia».
SUDAN – Amira Gornass
«L’Italia, per noi donne africane, è il Paese di riferimento nella mediazione dei conflitti; sono orgogliosa che questa sia la mia prima missione» dice l’ambasciatrice di uno dei Paesi protagonisti nell’instabilità della regione a Sud del Sahel (soprattutto dopo la nascita dello stato indipendente del Sud Sudan) e anche tristemente noto per la durezza della Sharia contro le donne, spesso condannate senza aver diritto a un avvocato, come nei casi di adulterio. «Nel mio Paese vige la legge islamica» dice «ma ci tengo a far sapere che nel 1976 abbiamo avuto la prima giudice alla Corote Suprema in Africa, le sudanesi hanno diritto al voto già dal 1953 e hanno acquisito negli ultimi anni posizioni di primo piano. Quattro ministre, Istruzione, Welfare, Cooperazione internazionale e Salute. Una donna occupa la vicepresidenza dell’Assemblea nazionale, due generali sono donne, in Parlamento siamo il 25 per cento e occupiamo tre sedi diplomatiche, Roma, Oslo e Madrid»
ZIMBABWE – Mary Sibusisiwe Mubi
«La vera rivoluzione nel mio Paese è stata quella dell’istruzione» dice l’ambasciatrice dello Zimbabwe a Roma. «Il motto “educhi una bambina educhi una nazione” da noi è stato applicato per legge. Oggi quasi il 90 per cento delle bambine completa l’istruzione primaria e sempre più ragazze proseguono fino all’università. Gli effetti di questo processo si sono visti nel ritardo della prima gravidanza e l’accesso a professioni prima esclusivamente maschili. Oggi abbiamo ingegneri, piloti, dirigenti nelle aziende pubbliche. Il governo, ma anche le chiese,hanno fornito infrastrutture fino a pochi anni fa impensabili, in alcune delle zone più remote del Paese. E le madri hanno giocato un ruolo fondamentale formando comitati di Sviluppo Scolastico, integrando le indennità agli insegnanti, costruendo volontariamente nuove scuole. Insomma la politica di investire sull’istruzione ha creato le condizioni per l’entrata delle donne nella fascia dinamica della società».
KENYA – Josephine W. Gaita
«Il degrado ambientale, le deforestazioni, la siccità così come gli allagamenti sono questioni di cui sempre più si fanno carico le donne in Kenya» dice l’ambasciatrice. Che spiega: «Sono loro la spina dorsale dell’economia rurale, che sostiene l’intera nazione, e quindi prime interessate alla difesa del territorio. Sono diventate attiviste ambientali, si battono per la sopravvivenza delle loro famiglie e dell’intera comunità. Tutto è partito con Wagari Maathai, Premio Nobel per la Pace nel 2004 e il suo movimento Green Belt che promuoveva il rimboschimento. Si sono poi formati gruppi di donne “infermiere degli alberi” per contrastare la desertificazione. Si calcola che le donne in Kenya hanno piantato circa 50 milioni di alberi. E con la conquista graduale di posizioni decisionali si sono formate cooperative di riciclo di materiali inquinanti, anche a livello semi-industriale. Direi che le conquiste legislative, come l’imposizione delle quote rosa al 30 per cento in tutti i livelli decisionali pubblici, vengono dall’esperienza nelle aree rurali».
MOZAMBICO – Carla Elisa Luis Mucavi
«Il quattro ottobre abbiamo festeggiato i vent’anni dalla firma degli accordi di pace. Traguardo che non sarebbe stato raggiunto senza la mediazione dell’Italia, un Paese che noi sentiamo neutrale, cioè non lo associamo al colonialismo europeo» dice l’ambasciatrice di uno dei Paesi che, da simbolo negativo del continente (quindici anni di guerra civile), è diventato un “Leone africano”, con una crescita economica di circa 1’8 per cento l’anno e un potenziale beneficio dai giacimenti di gas appena scoperti di 250 miliardi di euro. «Stiamo creando un movimento di donne per invertire la rotta nella gestione delle risorse, prendere la leadership nella distribuzione della ricchezza. Vogliamo porre fine alla tradizione africana di concentrare tutto nelle mani di despoti e grandi corporation. E noi vogliamo dare l’esempio. Per la prima volta le risorse naturali del Mozambico saranno sfruttate per il bene di tutti, serviranno a creare servizi e una nuova classe dirigente, soprattutto femminile».
Il ruggito delle leonesse – Io donna
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