Quaranta associazioni e parlamentari di tutti gli schieramenti chiedono un cambio di passo al presidente incaricato Mario Draghi
di Manuela Perrone
Si sono chiamate “Donne per la salvezza” ben prima che si pensasse alla nascita di un governo «di salvezza nazionale» a guida Mario Draghi. Da mesi 40 associazioni di manager, economiste, statistiche, accademiche, giornaliste e parlamentari hanno fatto rete e promosso un ciclo di cinque webinar per elaborare un manifesto di proposte per il Recovery Fund. Adesso chiedono al presidente incaricato un cambio di passo netto per raccogliere e vincere la sfida della parità di genere, a partire dalla trasformazione delle Pari opportunità da dipartimento a ministero affidato a un ministro o a una ministra con portafoglio.
Il prezzo della crisi
«Sarebbe un’azione di rilievo con un valore concreto e simbolico – scrivono le “Donne per la salvezza” (qui l’elenco delle associazioni che aderiscono) – che riaccenderebbe nelle italiane la speranza in un percorso di fuoriuscita dalla crisi attento alle loro necessità e ai problemi specifici della metà del Paese che paga il prezzo più alto all’emergenza Covid in termini di occupazione e di servizi». Parlano i numeri, da ultimo quello terribile sull’occupazione sfornato dall’Istat: soltanto a dicembre, su 101mila posti lavoro persi, 99mila sono stati femminili. In un anno l’occupazione è scesa di 440mila unità, di cui 312mila donne. Un’ecatombe allarmante per un Paese già in coda alle classifiche per il tasso di occupazione femminile, sceso di nuovo con la pandemia sotto il 50%, al 48,5 per cento.
Il rischio boomerang del Recovery Fund
Dietro le cifre ci sono drammi che rischiano di acuire le disuguaglianze e sospingere nuovamente le donne tra le pareti domestiche. Anche perché, senza correttivi, lo stesso Recovery Fund corre il pericolo di accentuare il divario. Lo ha ricordato recentemente la statistica Linda Laura Sabbadini, chair Women20, in audizione alla commissione Esteri della Camera: il Recovery può diventare «un boomerang» se non si scioglie il nodo del vincolo posto da Bruxelles del 57% degli stanziamenti ai settori green e Ict, perché si tratta di «settori che hanno una percentuale di presenza femminile molto bassa e questo vuol dire che l’impatto di questo 57% può essere fortemente penalizzante per le donne, può addirittura acuire la disuguaglianza di genere».
Il piano di ripresa non sia «gender blind»
È quella “cecità di genere” che per prime denunciarono le europarlamentari firmatarie della petizione #halfofit, capitanata dalla verde tedesca Alexandra Geese, movimento di cui le “Donne per la salvezza” rappresentano l’evoluzione italiana. Una cecità che per l’Italia sarebbe fatale, considerando i ritardi storici che caratterizzano il nostro Paese. Lo scorso ottobre la sottosegretaria all’Economia, Maria Cecilia Guerra (Leu), li aveva elencati in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sul bilancio di genere per l’esercizio finanziario 2019, definendo il piano nazionale di ripresa e resilienza «un’occasione irripetibile».
Il manifesto
Le associazioni invocano una governance paritaria dei fondi di Next Generation Eu, la valutazione ex ante ed ex post dell’impatto di genere di ogni provvedimento, l’attenzione alla parità nel patrimonio destinato gestito da Cdp, asili nido fino a garantire una copertura del 60%. Chiedono cure domiciliari per anziani, disabili e non autosufficienti, tempo pieno generalizzato nella scuola dell’obbligo, una rete di centri antiviolenza adeguata agli standard della Convenzione di Istanbul, orientamento alle materie Stem per bambine e ragazze, misure per eliminare progressivamente il divario salariale tra donne e uomini. Sottolineano la necessità di tornare a promuovere e sostenere con convinzione l’imprenditoria femminile, di investimenti massicci per combattere gli stereotipi di genere, di congedi di paternità obbligatori per almeno due mesi, di avviare un monitoraggio di genere del credito concesso alle nuove imprese avviate da donne e da uomini. E di premiare negli appalti del Recovery le aziende che praticano l’uguaglianza nelle retribuzioni, nelle carriere e nel management.
Cruciale un ministero con portafoglio adeguato
È una sorta di «programma» ampio e trasversale, il cambio di paradigma che peraltro domanda la stessa Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen. Proprio per attuarlo con una visione a tutto tondo, le associazioni premono perché sia creato il ministero per le Pari opportunità, che abbia «pari dignità con gli altri», guidato da un ministro o una ministra con portafoglio. E perché le deleghe sulla famiglia siano invece integrate con il complesso delle politiche sociali, spezzando lo schema attuale «che associa in modo arbitrario il problema della parità con quello della tutela del valore sociale della famiglia e penalizza entrambi». Un cambiamento che certificherebbe il salto di qualità dall’ottica della conciliazione – che negli anni è stata a torto considerata un problema soltanto femminile – a quella della condivisione del lavoro di cura.
L’asse tra le parlamentari
Dal Pd a Forza Italia, passando per il M5S e Fdi, le elette in Parlamento stanno mostrando una compattezza fuori dal comune. La petizione #halfofit era stata subito sottoscritta dalla europarlamentare dem Pina Picierno, che oggi dice: «Il ministro con portafoglio serve perché bisogna evitare che le “questioni di genere” vengano ben esposte nei documenti ma che poi non trovino applicazione in nessuna delle scelte e negli indirizzi effettivi di spesa, come è accaduto sempre in questi anni. Non è più possibile, specie dopo la pandemia che ha compromesso ancora di più la qualità di vita delle donne».
La senatrice Pd Valeria Fedeli è netta: «Occorre un ministero che abbia le risorse, certo, ma soprattutto che venga ridefinito nelle sue funzioni e dotato dell’Osservatorio per la valutazione dell’impatto di genere ex ante, monitoraggio ed ex post di tutte le politiche pubbliche. Quindi davvero con la funzione di promuovere le politiche di mainstreaming ed empowerment femminile. Il vero ministero per la crescita sostenibile è questo!».
«Avere un ministro dedicato ma con portafoglio è, almeno per ora, una necessità per rafforzare la capacità di impatto delle politiche da mettere in campo subito, sottolinea la presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio, Valeria Valente: «La pandemia ci ha dimostrato la fragilità e l’ingiustizia del modello di sviluppo alle nostre spalle. Concordiamo tutti che ne va riscritto uno nuovo. Le donne possono rappresentare la chiave principale di questo nuovo inizio. «Sarebbe rivoluzionario», dice senza mezzi termini la deputata Lia Quartapelle. «Il governo Draghi sarà un’occasione unica per avvicinare l’Italia all’Europa anche recuperando i ritardi che il nostro Paese ha accumulato in termini di divario tra donne e uomini».
«Senza le donne non si esce dalla crisi», aveva detto già lo scorso luglio l’azzurra Mara Carfagna proponendo proprio la formazione di un fronte trasversale di donne per ottenere che una parte significativa delle risorse europee fosse destinato a una «rivoluzione del welfare, oltre che a incentivi all’occupazione femminile, come indicato anche nel piano Colao». La scorsa settimana, in un’intervista al Foglio, ha auspicato che nel governo Draghi ci siano molte donne:«È ora di mettere la loro competenza al servizio dell’Italia». La capogruppo a Montecitorio, Mariastella Gelmini, nella Giornata delle donne e delle ragazze nella scienza, invita a non sprecare «l’occasione del Recovery Plan per potenziare materie Stem e risolvere disparità di genere».
Da Forza Italia anche la deputata Cristina Rossello, instancabile nel reclamare attenzione al tema della parità, ricorda come dato il 60% di fondi del Recovery destinato a settori ad alta predominanza maschile «sia vietato scendere sotto il 10% di investimenti specificamente mirati all’occupazione femminile». A suo avviso, è inoltre indispensabile fugare l’equivoco: non si tratta di «interventi a favore delle donne», ma «a favore dell’economia per un reale sviluppo economico». Dunque no a provvedimenti a singhiozzo o a termine. Largo invece a usare il Next Generation Eu «per infrastrutture sociali e fiscalizzazione e contribuzione agevolata per una distribuzione migliore dei tempi di lavoro e dei congedi parentali e una piena integrazione dei ruoli genitoriali», ma anche a predisporre «riforme adeguate per lavoratrici autonome e imprenditrici» e ad alleggerire con servizi ad hoc il ruolo di cura.
La leader di +Europa, Emma Bonino, attivissima anche in “Donne per la salvezza”, ha messo il tema delle donne al centro delle consultazioni con Mario Draghi come prioritario insieme alla campagna di vaccinazione anti-Covid. Nel M5S è la vicepresidente della Camera, Maria Edera Spadoni, ad aderire convintamente: «Avere un ministero forte, con portafoglio, sarebbe una soluzione strategica per noi donne, capace di dare una spinta al rilancio dell’economia. L’Europa stessa, in tutti i documenti di raccomandazione sul Recovery Fund, ci fa questa richiesta. Pari opportunità significa lavoro di qualità, minore segregazione occupazionale e parità nelle retribuzioni. L’Italia continua a occupare posizioni non lusinghiere nelle classiche internazionali sui divari di genere. Non è più possibile rimandare». Anche la senatrice pentastellata Alessandra Maiorino crede che «innovare il ministero delle Pari opportunità potenziandolo potrebbe essere una scelta strategica ed efficace». «È il Paese intero – osserva Maiorino – a essere penalizzato dalla scarsa equità di genere: le ricadute economiche sono enorme, e le paghiamo tutti».
Da Italia Viva l’ex ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, una vita spesa in difesa dei diritti delle braccianti, sostiene che «questo deve essere il governo delle Pari opportunità, il che vuol dire che un forte ministero, ma non soltanto. L’obiettivo di garantire pari opportunità di genere deve divenire sempre più trasversale a tutte le amministrazioni e, nel caso del governo centrale, a tutti i ministeri. E deve essere, lo diciamo dall’inizio, asse strategico del Recovery Plan, tale da caratterizzare ogni macro obiettivo e ogni singolo prodotto, garantendo le risorse necessarie perché l’obiettivo si attui concretamente».
Anche la senatrice Udc, Paola Binetti, va oltre la richiesta di un dicastero di spesa: «In realtà in ogni ministero e in ogni luogo decisionale bisognerebbe tenere conto del punto di vista femminile. Bisogna recepire il fatto che il gender gap esiste. Ovunque abbiamo bisogno di un punto di vista che restituisca alla dignità, alla competenza e alla professionalità femminile la sua condizione di parità». Da Fdi Isabella Rauti sostiene l’opportunità di aggregare la Famiglia alle Politiche sociali, perché «la famiglia non è una questione di donne, ma una questione sociale cruciale». E aggiunge: «I fondi del Recovery vanno investiti nelle tante questioni femminili irrisolte e aggravate dalla pandemia: l’occupazione, l’investimento sulla natalità per uscire dall’inverno demografico, le infrastrutture sociali e il welfare di prossimità».
[Fonte: www.ilsole24ore.com]
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