IlMessaggero.it – Sudan, cristiana incinta condannata a morte perché non si converte all’islam

20140515_sudanUn tribunale sudanese ha condannato a morte per impiccagione una donna cristiana con l’accusa di apostasia. Mariam Yehya Ibrahim, 27 anni è incinta di otto mesi. Il padre della donna è musulmano e la madre è cristiana. Il giudice le ha inflitto anche la pena di 100 frustate per adulterio.
A difesa della donna nei giorni scorsi erano scese in campo numerose ambasciate dei Paesi occidentali e organizzazioni in difesa dei diritti civili che ne avevano chiesto l’immediato rilascio. Amnesty International ha ricordato che Mariam Yehya Ibrahim è stata cresciuta come cristiana ortodossa, religione della madre, in quanto il padre, musulmano, era assente fin dalla sua nascita. Successivamente la donna si era sposata con uno straniero cristiano, ma il tribunale di Khartoum l’ha condannata anche per adulterio perché il suo matrimonio con un uomo cristiano non è considerato valido dalla Sharia e viene per l’appunto considerato un adulterio. Inoltre secondo la Sharia se il padre è musulmano, la figlia è automaticamente musulmana.
Nel corso dell’udienza al tribunale di Khartoum il giudice ha chiesto alla donna di rinunciare alla fede per evitare la pena di morte: «Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma tu continui a non voler tornare all’Islam e dunque ti condanno a morte per impiccagione», ha detto il giudice Abbas Mohammed Al-Khalifa rivolgendosi alla donna.
Italians for Darfur. «Con un click puoi contribuire a salvare la vita di un’innocente». Con questo slogan Italians for Darfur ha lanciato un appello – che ha già raccolto centinaia di firme – per salvare una donna sudanese condannata a morte da un tribunale di Khartoum per apostasia. La donna cristiana, Meriam Yahia Ibrahim Ishag, è stata condannata nonostante i numerosi appelli per il rispetto della libertà di religione lanciati da diverse organizzazioni in difesa dei diritti umani e da varie ambasciate dei Paesi occidentali. Il giudice che l’ha emessa, Abbas Mohammed Al-Khalifa, leggendo il dispositivo a fine dibattimento ha affermato che erano stati concessi tre giorni all’imputata per abiurare, ma avendo deciso di non riconvertirsi all’Islam, la donna meritava la condanna all’impiccagione. Italians for Darfur ha dunque chiesto di firmare l’appello «per scongiurare l’esecuzione della pena», così come avvenne per il caso di Intisar e Layla, due donne condannate alla lapidazione per adulterio«. L’organizzazione ha poi precisato che le firme raccolte saranno inviate al presidente del Sudan Omar Al Bashir, l’unico che può concedere la grazia e che può scongiurare una «atroce ingiustizia».

[Fonte: www.ilmessaggero.it]