di Luisa Betti
La ministra alle associazioni: una road map contro le cause
«Vi ringrazio e devo dire che, sentendovi mi è venuta la pelle d’oca». E con queste parole che la ministra delle pari opportunità, losefa Idem, ha concluso ieri l’audit con le associazioni impegnate nel contrasto della violenza di genere e delle discriminazioni sull’orientamento sessuale: un incontro in cui per 7 ore la ministra ha ascoltato voci arrivate da tutt’Italia, spiegando che questo non è il suo «punto di arrivo ma la sua partenza», e salutando la platea con un «grazie anche a nome dello stato che non ha saputo dare le giuste risposte». Una giornata aperta dai saluti del presidente del senato, Pietro Grasso, che si è dichiarato «preoccupato di questo fenomeno» e che si è reso disponibile «per la commissione d’inchiesta sul femminicidio»; e dalla presidente della camera Laura Boldrini, che ha parlato di come le donne siano discriminate in un paese dove solo «il 47% delle donne lavora» (contro una media europea del 60%), e dove per combattere la violenza è necessario «fare scelte politiche, sostenere i centri antiviolenza e i rifugi con fondi necessari», ma anche cambiare la cultura in profondità, perché «la donna non può essere rappresentata o come la casalinga o con un’immagine ammiccante e discinta, in quanto è chiaro che questo non ci rappresenta». Se vogliamo «capire cosa non funziona e perché le leggi esistenti non vengono applicate», ha detto Boldrini, «bisogna avviare un dialogo serio in una campagna a Montecitorio dove le commissioni ascoltino finalmente la società». Un’apertura che finalmente arriva dalle istituzioni, dopo un anno di campagna d’informazione massiccia e puntuale sul femminicidio, partita proprio da questo giornale, con modi di rappresentare la violenza contro le donne fuori da quegli stereotipi che sono la fonte primaria di discriminazione e quindi della violenza. E se anche la ministra della salute Beatrice Lorenzin, che si è detta disponibile a partecipare alla task force intraministeriale lanciata da Idem, ha detto che non si tratta di «un tema di genere ma di civiltà», le tantissime voci di donne che si sono avvicendate ieri, hanno dato un’idea chiara che su questi temi le donne sono avanti e che se gli uomini vogliono dare una mano, devono ascoltarci. Gabriella Moscatelli di Telefono rosa ha detto che da quando sono loro a gestire il numero 1522, hanno ricevuto 22mila telefonate in un anno; mentre Orla Gargano, di Be Free, ha specificato che se «nel resto d’Europa ci sono ottimi piani nazionali antiviolenza, in Italia siamo ancora molto indietro, e che gli esempi di buone pratiche, come il pronto soccorso h24 dell’ospedale San Camillo di Roma dove arrivano donne con la paura di denunciare, sono ancora troppo pochi». «I centri antiviolenza – ha detto Titti Carrano della rete nazionale DiRe – non sono servizi ma luoghi di progettualità dove si costruisce una nuova cultura, dove la violenza è nominata e riconosciuta. Una violenza che non è un problema di ordine pubblico o un’emergenza, ma una costante in tutte le società che hanno al centro il patriarcato». Teresa Manente, di Differenza Donna, ha parlato della ratifica della Convenzione di Istanbul – prevista il 27 maggio – con cui sarà possibile affrontare la violenza sulle donne in un quadro di violazione dei diritti umani, e dove sono chiari gli interventi sulla violenza domestica che in Italia è la forma più diffusa. Ascoltando le associazioni, la ministra Idem ha concluso dicendo che «occorre collocare sull’asse del tempo il problema, con interventi immediati, a breve e lungo termine, attuando subito misure di protezione per arrivare poi alla rimozione totale delle cause della violenza contro le donne», ma per fare questo occorre quello che Linda Laura Sabbatini, dell’Istat, ha chiaramente illustrato come «un monito-raggio preciso e scrupoloso che va dall’analisi del sommerso all’incidenza degli stereotipi, per avere un osservatorio, un sistema integrato di informazione, che può diventare base delle politiche adatte a contrastare la violenza». Quello che però sembra preoccupare Idem è la litigiosità delle associazioni delle donne italiane: «Molti mi hanno detto che il mondo femminista qui è litigioso – ha detto – ma io mi appello allo spirito di collaborazione delle donne, invitando tutte a guardare all’obiettivo». Un augurio che ci facciamo tutte, se pensiamo, che «dopo più di un decennio – come ha detto Bianca Pomeranzi della Cedaw- in Italia si dà la parola alla società civile che, come insegna l’Onu, deve essere ascoltata prima di partire per poi essere coinvolta nelle fasi del processo, e non solo alla fine in maniera subalterna, come succede di solito».
il Manifesto – Idem unite contro il femminicidio
[File pdf - 176 Kb]
Stay Connected