La violenza sulle donne è un problema degli uomini», diceva lo slogan che la nostra Nazionale di calcio aveva adottato nel 2012, in alcune partite, per ricordare uccisioni particolarmente efferate di donne. “Femminicidio”, diciamo anche da qualche tempo, per indicare che la donna viene uccisa proprio perché donna. Dal 2005, ne sono state ammazzate 896 da partner o ex: che cosa c’entrano, con questi numeri, l’amore e la passione che in tempi finalmente lontani facevano parlare di “delitti passionali”? In Italia, la prima settimana di maggio ha visto 5 donne morte a causa di problemi che non erano i loro. Perché ogni anno la grande maggioranza delle uccise lo è per mano di qualcuno che diceva di amarle, o che non tollerava di non essere più ricambiato. «Sa quanti, tra questi assassini, soffrono di disturbi psichici?», spiega lo psichiatra Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria. «Meno del 10 per cento. Per gli altri, i meccanismi che agiscono sono la possessività, la prepotenza e il considerare la partner un oggetto di disponibilità propria. Sono meccanismi molto spesso acquisiti, quasi sempre all’interno delle pareti domestiche. Ciò che si è appreso, in sostanza, è che quando non si hanno le parole, si alzano le mani. Al comportamento di prevaricazione si può poi aggiungere abuso di alcolici o di sostanze stupefacenti, che aumentano le manifestazioni di aggressività». Ma se esistono ancora troppi uomini che odiano le donne, ce ne sono altri che si impegnano in prima persona contro la violenza di genere. Come l’associazione “Il cerchio degli uomini di Torino”, che nel 2009, con il sostegno della Provincia, ha avviato uno sportello telefonico per l’ascolto del disagio maschile, con lo scopo preciso di far emergere il disagio nelle relazioni e prevenire la violenza su donne e minori, affrontando le situazioni critiche quando non sono ancora eclatanti.
Racconta Roberto Poggi, uno dei fondatori: «Il 50 per cento circa degli uomini che chiamano ha problemi di prevaricazione e violenza, fisica e/o psicologica. All’ascolto siamo quattro counselor con anni di formazione specifica. Proponiamo colloqui individuali di orientamento, fino a 6 o 7. Se emergono tratti patologici, inviamo la persona a psichiatri o psicoterapeuti sul territorio. Per altri casi dove emergono criticità, abbiamo riunioni di gruppo, con due conduttori. Gli esiti positivi sono diversi. Per esempio, un uomo aveva avuto episodi di violenza verso la compagna, non ancora tra i più gravi, con crisi di gelosia molto forti. In una precedente relazione, era stato denunciato. È venuto per più di un anno da noi e sta finendo il suo percorso. È riuscito a riconciliarsi con la partner dopo un periodo di separazione, perché lei se n’era andata. Non ha più crisi di gelosia, sta molto bene. Quando non c’è patologia clinica, questi incontri sono sicuramente molto utili». All’estero, i programmi di trattamento dei maltrattanti hanno fatto crollare le recidive. In Italia, i centri non sono molti e tutti al Centronord. Tra i pionieri c’è il Centro di ascolto degli uomini maltrattanti (Cam) di Firenze. Lo presiede la psicologa Alessandra Pauncz, che in precedenza aveva lavorato in un centro antiviolenza per le donne vittime e che di recente ha pubblicato un libro di auto aiuto destinato a loro, Trasformare il potere (Romano Editore). Riassume: «Dal 2009 a oggi, circa 160 uomini hanno fatto richiesta d’aiuto al nostro centralino. La metà chiamava da altre parti d’Italia, e non potevamo prenderli in carico. Con una sessantina abbiamo fatto un colloquio, e la metà di loro ha deciso di intraprendere un percorso vero». Il programma del Cam dura almeno un anno, ma molti continuano anche dopo. Si basa su incontri di gruppo, «con tecniche cognitivo-comportamentali per interrompere la violenza, e un confronto degli uomini tra di loro, che porta a riconoscere in esperienze simili alla propria cose che magari è più difficile riconoscere in sé. In un paio di mesi si interrompe la violenza fisica, fatto che verifichiamo anche con le loro compagne, con le quali abbiamo contatti. Poi c’è il problema della violenza psicologica, e per questo il programma dura a lungo». I loro utenti sono «uomini assolutamente normali, con un lavoro e senza comportamenti violenti fuori casa. All’inizio si presentano come vittime di donne terribili e non percepiscono i propri atti come violenti». La battaglia antiviolenza va combattuta su più fronti e «l’obiettivo dev’essere zero femminicidi», riflette Mencacci. «Bisogna fare un investimento culturale ed educativo verso il rispetto e la tolleranza. Un rispetto totale e, quindi, il tollerare che nei rapporti affettivi le donne scelgano come e quando interrompere un rapporto, proprio alla luce del loro diritto totale alla libertà»
Famiglia Cristiana – Quando il violento si fa curare
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