di Pietro Tosca e Giuliana Ubbiali
La storia – Il 12 ottobre 2010 doveva incontrare l’avvocato a Treviglio per la separazione consensuale
Il «dono» di Silvia: diventerà una struttura protetta per vittime di maltrattamenti
Inaugurazione l’8 marzo
La responsabile dell’associazione: «Lunedì abbiamo cominciato i primi lavori, vorremmo che fosse inaugurata l’8 marzo»
BERGAMO - La casa di Silvia sarà data in dono e trasformata in un rifugio per donne maltrattate. Nell’appartamento al piano terra della palazzina marrone, in piazza Repubblica 2, a Treviglio, provincia di Bergamo, tutto è fermo alla mattina del 12 ottobre 2010: Luigi Marenzi, 51 anni, prese un coltello da cucina e tolse la vita alla moglie Silvia Betti, di 48 anni. Avevano appuntamento dall’avvocato per avviare la pratica della separazione, ma lui quel giorno perse la testa. Erano le 6.30: Silvia si rese conto di essere in pericolo e telefonò alla madre, che vive a Milano. Un grido di aiuto subito raccolto dalla donna, che chiamò disperata i carabinieri. Troppo tardi. Lui l’aveva già uccisa con nove fendenti. I militari lo arrestarono mentre scendeva dalle scale del condominio. Ora è in carcere, dove sta scontando una condanna a 15 anni di reclusione confermata in appello. Quella casa è rimasta congelata a quell’attimo. Sui mobili appoggiati alle pareti di un giallo intenso e luminoso ci sono libri e bicchieri, segni di una vita quotidiana perduta. Per tre anni l’appartamento è rimasto chiuso, sigillato con il suo carico di violenza e dolore. «Non riesco a fermarmi li davanti - confessa una vicina di casa -. Guardo quella porta e i ricordi sono troppo pesanti». Un’ombra che sarà allontanata da un gesto di generosità: i genitori di Silvia, Wilma Ricci e Vittorio Betti, hanno voluto che quella casa rivivesse sotto il segno della speranza. Perché altre vittime sfuggano alla tragica fine che è toccata alla loro figlia. L’hanno infatti donata alla Cooperativa Sirio, di Treviglio, che si occupa di donne maltrattate e che trasformerà l’appartamento in una casa protetta. Fuori dalla porta verrà messa una targa in memoria di Silvia. «L’abitazione è entrata nella nostra disponibilità una settimana fa - spiega Milva Facchetti, responsabile della cooperativa -. Lunedì abbiamo cominciato i primi lavori. Vorremmo fosse inaugurata l’8 marzo. Ci occupiamo di violenza sulle donne dal 1998 e in questi anni i casi sono costantemente aumentati. L’uccisione di Silvia è stato un evento choc per Treviglio». Fu proprio la cooperativa Sirio a organizzare una fiaccolata fuori dall’abitazione di piazza Repubblica centinaia di persone sfilarono in silenzio per le vie della città, per far sentire la loro presenza contro la violenza sulle donne. (Abbiamo seguito anche il processo - continua Facchetti – e li abbiamo conosciuto i genitori di Silvia. A fine 2011 ci hanno espresso il desiderio che la casa della figlia potesse servire ad aiutare altre donne. Sono rimasta molto colpita dalla loro generosità. Sono gesti come questi a fare la differenza. In una situazione in cui è sempre più difficile riuscire a mantenere i servizi di accoglienza e in cui i Comuni non riescono ad erogare anche piccoli finanziamenti, vedere che c’è chi sa trasformare il proprio dolore in un impegno per il prossimo è davvero un segno di speranza». Il papà e la mamma di Silvia sono riservati, da quel maledetto giorno sono chiusi nel loro dolore. Riservata è tutta la loro famiglia. A fatica e solo in memoria di Silvia, accetta di parlare la cugina, Elena Betti. «Avremmo voluto che questo gesto rimanesse nel silenzio della nostra famiglia», sospira. «Ma prima o poi, magari in occasione dell’inaugurazione, sapevano che sarebbe emerso. I miei zii hanno deciso di donare l’appartamento proprio a questa associazione, perché diventi un punto di riferimento e d’aiuto per donne maltrattate che devono scappare da casa Silvia era altruista e solare, non meritava tutto questo». Elena si concede un solo sfogo: «Una condanna a 15 anni. Secondo lei non sono pochi? Credo che per un omicidio non dovrebbe essere concesso il rito abbreviato».
La vicenda
Il delitto
II 12 ottobre Silvia Betti, 48 anni, viene uccisa a coltellate dal marito Luigi Marenzi, 51, proprio la mattina in cui dovevano incontrare l’avvocato per la separazione consensuale
La donazione
L’uomo è stato condannato a quindici anni in primo grado e la sentenza è stata confermata in appello. I genitori della vittima hanno deciso di donare la casa dl Treviglio dove si è consumato il delitto alla cooperativa locale Sirio, che si occupa di donne maltrattate.
Corriere della Sera – Uccisa dal marito la casa va alle donne
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