Gli abusi investono italiane e migranti.
Queste ultime sempre più vittime di parenti.
La colpa? Vita all’occidentale.
L’impegno del numero verde “Mai più sola” di Acmid-donna
di Alessia Guerrieri
Naima pensava di essere una moglie, invece era un schiava Adila ha abbandonato il Marocco con le sue figlie per raggiungere in Italia il marito Issam, che qui nel frattempo si era costruito una seconda famiglia per avere il tanto desiderato erede maschio. A lei Issam riserva solo botte e bugie, approfittando anche del suo analfabetismo. Paola invece ha fatto il viaggio inverso, da Milano verso l’Egitto, per sposare Mohammed. La loro era una storia meravigliosa, l’incastro perfetto di due culture fino al giorno del matrimonio, però. «Da li è cominciato il mio calvario, anche per tornare in Italia», ammette. Raccontano la loro sofferenza con una dignità che impressiona. Ora gli occhi non sono più coperti dal velo, ma li tengono sempre bassi quasi a voler nascondere le cicatrici indelebili dell’anima Possono parlare liberamente e, soprattutto le donne straniere, hanno imparato a leggere e a conoscere i propri diritti. Sono tante, ma ancora troppe vivono nel silenzio. La violenza sulle donne continua a crescere nel nostro Paese, e non è solo ai danni delle immigrate; ad essere vittime dei soprusi di padri, fratelli e mariti sono sempre più le giovani della seconda generazione colpevoli di voler vivere “all’occidentale”. L’età media così continua a scendere sotto la fascia tradizionale dei 20-30 anni e il Centro-Nord Italia si conferma come il quadrante caldissimo della brutalità domestica per cultura o religione. Sono i dati che emergono dai primi 5 anni di attività del numero verde “Mai più sola” dell’associazione Acmid-donna onlus, che dal 2007 aiuta le straniere, ma ultimamente anche tante italiane, ad uscire dalla spirale della violenza. In soli 6 mesi nel 2012 hanno chiesto aiuto oltre 5mila donne, una tendenza che se continuerà farà oltrepassare il triste traguardo dei 10mila interventi. Solo alcuni anni fa le chiamate non superavano le 6mila, segno «di una vera emergenza», esordisce la presidente dell’associazione e deputata Pdl Souad Sbai. Un «massacro indisturbato opera dell’estremismo radicalista» presente in Italia, continua la parlamentare, che mette sempre più davanti ad episodi di cronache in cui «donne che cercano la libertà trovano invece la morte». Chiamano soprattutto dal Nord (71%), in particolare dalla Lombardia (61%), dove sono arrivate seguendo genitori e mariti in cerca di lavoro. Ma ora sta emergendo anche la voglia di denuncia di tante immigrate e non nel Sud Italia. In molte non cercano solo un supporto psicologico e legale, ma anche una casa protetta (38%) in cui poter rifugiarsi con i propri bambini; spesso non sanno scrivere né leggere (basta pensare che in Marocco l’analfabetismo femminile è al 52%), non hanno documenti, sottratti da uomini-padroni per evitarne la fuga (34%), denunciano il rapimento dei figli (25%) e nell’8,4% dei casi fanno parte di una coppia mista. Anche la poligamia in Italia sta diventando un’arma a doppio taglio per le donne marocchine e tunisine, visto che se si vuole andar via dall’harem «per la legge è come se non esistessimo». Naima ha lasciato il suo uomo a Torino dopo 15 anni e quattro mogli, si è ritrovata fuori di casa senza un soldo, ma con la tutela dell’associazione. Otto volte su dieci sono le stesse vittime a trovare il coraggio di chiamare il numero verde e denunciare, ma continua a crescere anche il ruolo di mediazione di assistenti sociali (10%), operatori ospedalieri (6%) e forze dell’ordine (2,7%). Paola ha scelto di parlare con “Mai più sola”, perché nessuno commetta il suo errore: «Da cristiana rispettavo il suo essere musulmano; lui, da islamico, rispettava la mia identità di cattolica e occidentale», dice. Ma la sua cortesia è svanita già un’ora dopo il sì al Cairo. E ora, dopo aver cambiato due volte casa e lavoro a Milano, vive con il terrore costante che lui possa trovarla.
Avvenire – Sulle donne boom di violenze
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