di Federica Zoja
L’emendamento incriminato mirava all’introduzione della «complementarietà» fra uomo e donna. Al Cairo «rischiano» anche le libertà di stampa e di manifestazione
No alla subordinazione tra sessi. Ma ora ci prova l’Egitto
Bocciata la riforma dell’articolo 28 della Costituzione, sulla quale puntava il partito islamico di maggioranza Ennahda
Le donne tunisine hanno vinto. Il tentativo di subordinare i loro diritti a quelli degli uomini, definendole «complementari» e non «uguali» ai concittadini maschi, è fallito. La commissione mista dell’Assemblea nazionale costituente (Anc) che si occupa di temi sociali ha sancito la parità fra i sessi, facendo un passo indietro sull’emendamento che introduceva la “complementarietà” nella nuova Costituzione. Il testo complessivo è stato presentato lo scorso 8 agosto da sei commissioni dell’Anc, decise a sottoporre la bozza definitiva al vaglio del Parlamento entro al fine dell’anno. I tempi, però, sembrano allungarsi a causa delle critiche piovute da ogni dove. Le più roventi hanno interessato l’articolo 28, quello che riguarda appunto la condizione femminile, elaborato da alcuni esponenti radicali del partito di maggioranza Ennahda (La rinascita, islamista). Nell’emendamento incriminato, infatti, dopo l’introduzione della “complementarietà” fra uomo e donna, le “pari opportunità” fra cittadini e cittadine erano accennate solo marginalmente. Un’ambiguità, secondo Nazioni Unite e Unione Europea, che rischiava di attenuare – per legge – i diritti delle tunisine. La scelta dei membri della commissione offre alla corrente moderata degli islamisti tunisini, maggioritaria in Parlamento e nella società, una boccata d’aria in piena battaglia per il potere contro i salafiti. Gli integralisti stanno dando l’assalto al Paese con metodi legali, grazie ad alcuni deputati eletti nelle file di Ennahda, e anche illegali, mediante l’infiltrazione di cellule estremiste sul territorio. I membri del movimento Ansar el-Sharia (Seguaci della via), extraparlamentare, rigettano ogni accusa di collusione con le reti terroristiche, ma il timore di legami con la sigla libica omonima cresce. Intanto, almeno sul fronte dei diritti delle donne la Costituzione del 1956 si dimostra valida ancora oggi per tutelare la laicità dello Stato. Tuttavia, sono numerosi gli articoli della nuova Costituzione a contenere ambiguità. Nell’ambito dell’articolo 26 sulla libertà d’espressione, ad esempio, ha fatto capolino un comma sulla «criminalizzazione delle minacce al sacro» che inquieta le minoranze religiose e i moderati. Nel frattempo, anche l’Assemblea costituente egiziana, monopolizzata dagli islamisti di Hurrla ua Adala (Libertà e giustizia, costola della Fratellanza musulmana) sta realizzando una bozza costituzionale che potrebbe mettere in pericolo i diritti delle donne. A rischio anche le libertà di stampa e di manifestazione, in virtù del rispetto dei precetti islamici. Di recente, come segnalato dall’agenzia Asia News, svariati intellettuali e polici moderati hanno presentato petizioni e appelli per riformare l’Assemblea, ritenuta non rappresentativa delle varie componenti della società. Sotto accusa è soprattutto la bozza dell’art. 36 della nuova Costituzione, che concerne diritti e doveri dei cittadini, secondo cui «le donne hanno uguali diritti rispetto agli uomini, in accordo con i precetti della tradizione islamica». Di fatto, un’apertura alla sharia nella società egiziana.
Avvenire – In Tunisia vincono le donne
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