di Nello Scavo
I casi
Dal «padre-padrone» al marito aguzzino. Poche denunce e troppi silenzi
Chi può scappa di casa, altre tentano il suicidio
La maggioranza piange e tace
«Mia moglie non può uscire perché è una donna e una donna deve s tare a casa». Quante volte ad agenti e assistenti sociali capita di bussare a una porta e sentirsi rispondere così. Comprate nei Paesi d’origine, murate vive in Europa. Dietro quella porta, però, ci sono storie di schiavitù, sevizie, soprusi. C’è la libertà negata alle madri e i sogni spezzati delle figlie. «Mia moglie non può uscire», aveva candidamente spiegato ai poliziotti di Milano il pachistano. L’uomo è stato arrestato ad aprile per aver massacrato di botte la figlia adolescente che si sottraeva ai «doveri coniugali». Il padre è stato arrestato con l’accusa di aver pestato la giovane figlia che non voleva cedere agli abusi a cui il marito (ammanettato anch’egli) la costringeva per ottenere con la brutalità quello che lei non voleva offrirgli con il cuore. La vicenda era venuta alla luce quando la “moglie per forza”, convinta da un amico, era andata in questura per chiedere aiuto e denunciare le violenze. Storie come questa pongono almeno due problemi: uno culturale e l’altro giuridico. Per affrontarli entrambi occorre «tenere in considerazione non solo le “radici” socioculturali delle terre d’origine ma, per esempio, se in quei Paesi – suggerisce Lorenzo Ascanio, avvocato e docente di Diritto e civiltà islamica all’università di Macerata – è consentito o tollerato dalla legge che i matrimoni possano essere stabiliti dalle famiglie senza che vi sia il consenso dei futuri sposi, e in particolare delle ragazze». La maggioranza delle vittime non denuncia e non scappa. Qualcuna prova a farla finita. A marzo i soccorritori del 118 di Bologna riuscirono a salvare una sedicenne originaria di una zona rurale del Paid-stan. La ragazzina aveva tracannato tutto d’un fiato un flacone di acido muriadico. All’ospedale Sant’Orsola non si sono accontentati di salvarle la vita. Hanno voluto proteggerne i sogni, facendo emergere una verità più corrosiva di quel litro di acido. L’adolescente era stata destinata ad un connazionale di quasi cinquant’anni. Il padre della sedicenne è stato indagato per maltrattamenti in famiglia, violenza privata e istigazione al suicidio in complicità con la moglie, a sua volta ritenuta vittima di percosse e abusi. La giovane asiatica, che ora si trova in una comunità protetta, ai magistrati ha raccontato dei maltrattamenti subiti anche dalla madre e dai fratelli. Una favola nera, con un “padre-padrone” che aveva stabilito nel ristretto perimetro della prigione domestica un clima di violenze e sospetti. La sedicenne fu scoperta dal fratello mentre al telefono si confidava con un coetaneo. Ne scoppiò una lite.
E per sfuggire all’ennesima lezione da parte dei maschi di casa, si chiuse in bagno ingerendo tra le lacrime quasi un litro di veleno. Se per un verso non esistono dati attendibili sul numero di “spose-ostaggio”, per l’altro viene segnalato dagli operatori socioassistenziali quanto sia difficile offrire un rifugio sicuro alle ragazze che vogliono sfuggire a un destino scritto da altri. L’ultimo rapporto sulla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) segnala che «le case rifugio sono poche e molte sono a rischio chiusura perché non godono di finanziamenti stabili. Attualmente ci sono oltre 119 Centri antiviolenza di cui 93 gestiti da Associazioni di donne e 56 case di ospitalità». Un numero «insufficiente per rispettare gli standard stabiliti a livello europeo». Ancora troppo poco per non sentir più rispondere: «Mia moglie non può uscire».
Avvenire – E’ una donna non puo’ uscire
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