di Isabella Rauti
Era il 1981 quando, a Bogotà, durante l’incontro femminista Latinoamericano e dei Carabi, si individuò nel 25 novembre la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. La data scelta – su proposta delle delegazione della Repubblica Domenicana – voleva ricordare le sorelle Mirabal uccise – appunto – il 25 novembre 1960 dalle forze militari che sostenevano il regime dittatoriale di Trujillo.
E così questa data – sicuramente meno nota dell’8 marzo ed assai meno “istituzionalizzata” – ricorre nel calendario delle associazioni femminili e femministe, come giornata di mobilitazione sul tema della violenza contro le donne. Anche in Italia sono tantissime le manifestazioni organizzate, in quasi tutte le Regioni, da quelle di piazza ai seminari, promosse dalle associazioni femminili, e da quelle per i diritti umani, dagli organismi di parità, dagli Enti locali ed anche dagli uomini come l’iniziativa della “Campagna nazionale del fiocco bianco”, nata in Canada circa due anni fa ed ora approdata in Italia, con l’associazione fiorentina Artemisia .
Quest’anno la data del 25 novembre 2006 risulta particolarmente sentita per tre ordini di fattori. L’oggettivo incremento dei casi di violenza, che le cronache ricostruiscono e restituiscono continuamente e che evidenziano una sorta di emergenza sociale nella vita delle e, nelle città. E si tratta di una violenza multidimensionale che va dalle forme di violenza fisica e psicologica, consumate e subite all’interno delle mura domestiche agli atti di violenza sessuale ed agli stupri, da parte di individui o di gruppi, nelle strade o in luoghi pubblici.
Inoltre, il Rapporto ONU (ottobre 2006) – 130 pagine sulle violenze fisiche, sessuali, psicologiche e sulle violazioni subite dalle donne nelle guerre e nei conflitti – ha definito la “violenza sulle donne come un flagello mondiale” che si tratti di tempi di pace o di guerra; mentre l’OMS ha reso noti i risultati di uno studio sul fenomeno della violenza, definendolo generalizzato e diffuso “sia nei Paesi industrializzati che in quelli in Via di Sviluppo”, a occidente come ad Oriente, a sud e a nord, nelle aree rurali ed in quelle metropolitane”.
Infine, tornando – come si dice – a casa nostra, perché la ricorrenza del 25 novembre attiri l’attenzione politica ed acceleri la presentazione e l’attuazione del Disegno di legge, più noto come “pacchetto antiviolenza”, ed avvii le attività de “l’Osservatorio per il contrasto della violenza nei confronti delle donne e per ragioni di orientamento sessuale”, istituito presso il Dipartimento per i diritti e le Pari Opportunità e, di quello previsto sulla violenza domestica.
Il provvedimento antiviolenza, che doveva andare in Consiglio dei Ministri il 3 novembre u,s., è studiato di concerto tra i Ministeri per i diritti e le Pari Opportunità, della Giustizia, dell’Interno e della Famiglia; il disegno di legge vorrebbe essere un piano di azione coordinata e congiunta ed apporterebbe – anche – numerose modifiche legislative. Sono previsti infatti, un inasprimento delle pene per i reati a sfondo sessuale e l’inserimento del reato di stalking, ossia di molestie protratte e minacce persecutorie sistematiche, nonché l’eliminazione delle attenuanti generiche e, per accelerare i tempi del processo, la facilitazione del ricorso al giudizio immediato. Il disegno di legge ha un impianto legislativo complesso ed intende tutelare le vittime delle violenze sessuali e domestiche, di molestie e minacce persecutorie; mentre “L’osservatorio” – ed i finanziamenti inseriti nella Legge finanziaria per iniziative contro la violenza – ha il compito, tra gli altri, di creare una banca dati, monitorare le azioni di prevenzione e repressione della violenza alle donne, nonché realizzare campagne di sensibilizzazione ed informazione.
La giornata del 25 novembre non si svolgerà in un clima celebrativo ma di forte denuncia del fenomeno e soprattutto di attesa. Attesa di una legislazione integrata e di sistema che affronti il problema in tutte le sue forme, pur nella consapevolezza che le norme, da sole, non bastano se non si determina un cambiamento culturale e di mentalità e non si supera la “violenza” intesa e vissuta come modalità di relazione.
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