In tempi di stravolgimento dei significati, la volontà di dare un nome alle cose fa la differenza tra l’autoannullamento e una piena consapevolezza dell’essere modernità. L’associazione Pro Vita non si arrende. Quel manifesto contro l’aborto, per loro, non andava eliminato. Ma soprattutto, occorre difendere la vita dai capricci del progresso che pretende di ridimensionare, e sottilmente di ideologizzare, persino la funzione biologica e archetipica delle donne e degli uomini, non più generazione e contenimento di vita, di virilità e femminilità, di paternità e maternità, ma replicanti sempre meno in possesso di se stessi. Una sfida più grande di una diatriba politica. Perché la vita non sia ridotta ad un grumo di cellule da espellere in nome dell’edonismo e del rassicurante culto dei nostri bisogni. Questo il cuore della battaglia dell’associazione ProVita che dopo l’eliminazione del manifesto di Roma contro l’aborto, avvenuta in seguito alle feroci polemiche di Monica Cirinnà – «Vergognoso che per le strade di Roma si permettano manifesti contro una legge dello Stato e contro il diritto di scelta delle donne» – e di altri ambienti politici, rilancia l’attenzione sul tema dell’aborto. E lo fa con una petizione, presentata ufficialmente lo scorso 11 aprile con una conferenza stampa a Palazzo Madama, e un sit in che domani 14 aprile porterà gli iscritti a Roma per una testimonianza importante. Con un’assunzione di responsabilità in un’epoca che vuole discolparsi da ogni cosa, l’associazione ha predisposto una petizione che verrà consegnata al futuro ministro della Salute, affinché garantisca che le donne possano essere adeguatamente informate delle conseguenze dell’aborto volontario sulla loro salute fisica e psichica. Come si legge nel comunicato che ProVita ha esteso, «è solo una delle tante iniziative che la onlus intende promuovere in difesa delle donne, della vita e dei bambini.
Dopo la vergognosa rimozione del maxi manifesto a Roma, che scuoteva le coscienze ricordando che l’interruzione volontaria della gravidanza sopprime un essere vivente. Una protesta che si moltiplica da più parti contro l’abuso di potere esercitato dall’amministrazione Raggi». Dettagli che spaventano: «i suicidi sono +155%, +37% le depressioni, +230% l’utilizzo di sostanze illegali e psicofarmaci, nelle donne che hanno abortito e che soffrono gravi conseguenze anche sul piano psicologico, secondo una metanalisi inglese», ha dichiarato la senatrice della Lega, Raffaella Marin, psicologa, riportando dati sconvolgenti sugli effetti dell’aborto volontario sulle donne.
La Marin è una delle firmatarie della petizione, assieme ad altri nomi di peso istituzionale della politica italiana, come quello delle senatrici Isabella Rauti e Maria Saponara, dei senatori Simone Pillon e Massimiliano Romeo, tra gli altri. «Un intollerabile attacco alla libertà di espressione che faceva male a Virginia Raggi perchè risvegliava le coscienze. Una violenta avversione alla libertà di espressione sulla Vita», racconta a Il Tempo, Toni Brandi, presidente dell’associazione ProVita. «Uno stato che pretende di proteggere la parte più forte (in questo caso la madre, spesso soggetta a un’ingiusta pressione e inconsapevole dei rischi per la salute che rischia abortendo) a scapito della parte più debole (il bambino) è la palese rappresentazione della legge della giungla!». Prosegue: «È sufficiente vedere l’educazione sessuale nelle scuole, l’assassinio di Charlie e Alfie in Inghilterra, la rivoluzione antropologica del gender per rendersi conto che viviamo in una società edonistica, egoista e materialista dove il bambino non è un dono ma un semplice oggetto/giocattolo. La base è l’egoismo: conosco una bella giovane donna, lascio mia moglie; voglio un bambino, che non posso avere, me lo compro mediante l’utero in affitto; non voglio un bambino, abortisco».
Su questi presupposti, ProVita chiama a raccolta e scende in piazza per un sit-in domani a Roma: «domani, 14 aprile, alle 11.30 faremo un sit-in simbolico a Piazza Madonna di Loreto a Roma per protestare pacificamente e in silenzio questo regime nazicomunista che ci governa». Una battaglia di purezza per le donne che arriva nell’epoca oscura di un nuovo moralismo censorio, dei Torquemada 2.0, che vorrebbe l’universo femminile emancipato e pienamente cosciente di sé, ma che, invece, finisce per rendere inevitabilmente ogni donna più fragile, ghettizzata e schiava nelle sue paure, soffocata da un nuovo e contraddittorio codice morale, dal caldo abbraccio sterilizzante di una premura troppo stringente, che anziché tutelare la sua essenza dai pericoli dell’anarchia femminista, farà dire agli italiani avvocata e non più avvocato. Una battaglia, quella di ProVita, nata per ribadire il concetto che non vincerà l’idea della morte, specie in un sistema che offre più soluzioni per morire che per vivere, tra le pieghe di una realtà necrologio.
Emanuele Ricucci
[Fonte: www.iltempo.it]
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