di Fabio Roia
Sono appena state votate decisioni importanti rispetto alla violenza contro i soggetti socialmente deboli… Assurdo considerare le donne «persone giuridicamente e relazionalmente fragili e bisognose di protezione di genere»? La realtà femminile si presenta con connotati di subalternità rispetto al soggetto maschile, addirittura nella tutela dei suoi diritti fondamentali…
Negli ultimi giorni d’estate, in una sorta di solare risveglio normativo, il Parlamento ha adottato delle decisioni rilevanti in tema di contrasto alla violenza contro i soggetti socialmente deboli e segnatamente contro i minori e le donne.
Sembra peraltro irrazionale, contrario alla naturalità delle cose, dovere ancora definire, in una società avanzata del terzo millennio, la donna come una persona giuridicamente e relazionalmente fragile e bisognosa di una protezione di genere particolare, ma la realtà femminile si presenta con questi connotati di subalternità rispetto al soggetto maschile, addirittura nella tutela dei suoi diritti fondamentali.
La violenza contro la donna, in tutte le sue forme antiche e nuove, caratterizza ancora i nostri tempi e per catalogarla e descriverla, e quindi combatterla, occorre sensibilità culturale e politica diffusa, reale e non convenzionale. Si pensi soltanto alla violenza sottile rappresentata dalla necessità di accostare seni esposti a beni di consumo per pubblicizzarne la diffusione e la potenzialità di vendita. Sembra che non si possa vendere un’autovettura se prima non si è sdraiata sulla scocca o nell’abitacolo una bella donna di solito poco vestita. E’ un processo di oggettivizzazione dell’essere femminile che può generare una cultura di scarso rispetto da parte dell’uomo fino dalla sua fase adolescenziale.
Il Senato ha dunque votato all’unanimità una mozione unitaria firmata da tutti i partiti per invitare il governo a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica adottata ad Istanbul l’11 maggio 2011.
Il testo della convenzione prevede, in un ricco articolato che tenta di descrivere tutte le forme di violenza e di individuare degli strumenti di contrasto sostanziali e processuali al fenomeno, che gli Stati membri, riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini, “aspirino a creare un’Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica”.
Il Governo dovrà dunque intervenire con un atto normativo prima della fine legislatura per tentare di scrivere delle norme che, in quanto tali, possano avere un effetto imperativo sui comportamenti devianti o indifferenti soprattutto in quei settori, mondo del lavoro, tutela economica, gestione della maternità, dove l’attuale legislazione appare carente o comunque poco coraggiosa.
Sul piano della repressione penale della violenza domestica, la recente legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, che legittimamente ha interessato il dibattito mediatico per un complessivo rafforzamento della tutela dei soggetti minorenni da tutte le possibili forme di aggressione sessuale, è intervenuta modificando alcune disposizioni dei codici penale e di procedura penale.
La norma base applicabile ai casi di violenza domestica e mobbing, l’articolo 572 del codice penale, è stata riscritta nella rubrica, con un effetto simbolico importante, poiché il reato riguarda adesso le ipotesi di “maltrattamenti contro familiari e conviventi”. La pena edittale prevista per il delitto è stata aumentata prevedendo una forbice applicativa che varia dal minimo di due anni di reclusione fino ad un massimo di sei anni, con la conseguenza significativa, a meno che il legislatore non voglia riscrivere la disciplina sulle intercettazioni telefoniche, che adesso per tale reato è prevista la possibilità di procedere ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni fra presenti, collocando, per esempio, degli strumenti di ascolto nelle abitazioni, nelle comunità o nei luoghi di lavoro dove sono in essere attività violente nei confronti della vittima.
Per il maltrattamento familiare è stato anche raddoppiato il termine di prescrizione del reato, che oggi era fissato in sette anni e sei mesi per tutti e tre i gradi di giudizio. La prevedibile conseguenza sarà quella che l’imputato non potrà più, come si dice gergalmente, difendersi dal processo sperando, con una condotta dilatoria, nella morte della vicenda giudiziaria per intervenuta prescrizione, situazione che si verifica con troppa frequenza per la non accettabile durata del processo, ma dovrà prendere coscienza della possibilità di essere condannato ad una pena detentiva anche non indifferente valutando, conseguentemente, la possibilità di ricorrere a quei riti alternativi, patteggiamento o giudizio abbreviato, scarsamente applicati nella esperienza giudiziaria.
Una forte tutela processuale della vittima anche maggiorenne di violenza domestica o sessuale deriva poi dalla possibilità, peraltro già introdotta con la legge in materia di stalking ma scarsamente praticata dagli uffici di Procura, di procedere all’assunzione anticipata della testimonianza, con la formula dell’incidente probatorio, durante la fase delle indagini preliminari. Tale previsione comporta come conseguenza che la donna, una volta effettuato il racconto testimoniale che viene cristallizzato in materiale probatorio a breve distanza dalla consumazione del reato, potrà uscire dal circuito processuale senza necessità di essere richiamata, magari dopo molti anni, in una situazione personale e familiare diversa, con la possibilità di essere sottoposta a pressioni esterne per ridimensionare quanto già precedentemente dichiarato, a rivivere la sua drammatica esperienza per rendere testimonianza al Tribunale.
Complessivamente l’impianto normativo italiano di tutela penale della donna vittima di violenza si presenta oggi completo ed astrattamente efficace.
Per vincere l’aggressione sistematica occorre tuttavia un intervento non soltanto repressivo ma, primariamente, educativo e di sensibilizzazione sociale. Questo dipende da tutti noi. A prescindere dal ruolo sociale.
[Fonte: 27esimaora.corriere.it]
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