di Isabella Rauti
La scorsa settimana il Consiglio dei Ministri ha approvato il ddl proposto dai Ministri Carfagna ed Alfano contro gli atti persecutori. E’ nato così, anche in Italia, il “reato di stalking” (termine mutuato da to stalk, dare la caccia, ma letteralmente fare la posta) che punisce chi minaccia o molesta in modo reiterato, con atti che provocano nella vittima ansia o paura per la propria incolumità.
Nel nostro Paese, il termine stalking ha cominciato a diffondersi in occasione di alcuni casi di stalking, riportati dai mezzi di informazione;si è mutuata la definizione ed il neologismo dall’estero per intendere una serie di gravi episodi di violenze continuative e “molestie insistenti ed assillanti” – come si usa dire – contro vittime, nella maggioranza dei casi donne.
Dopo i mezzi di informazione e la percezione della opinione pubblica, il fenomeno ha cominciato a ricevere nel tempo l’attenzione delle Istituzione (ma il primo disegno di Legge presentato al Parlamento è del 2004) anche per le sollecitazioni provenienti dal mondo associativo e del volontariato che si occupano della violenza sulle donne e che offrono servizi di assistenza alle vittime.
Secondo l’Osservatorio nazionale stalking, tra il 2002 ed il 2007 almeno il 20% degli italiani, in larga maggioranza (oltre l’80%) si tratta di donne, sono state vittime di molestie persecutorie. Dal punto di vista della rilevazione statistica, rappresentano un punto di riferimento i dati emersi dall ‘ “Indagine Multiscopo sulla sicurezza delle donne” condotta nel 2007 dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) su un campione di 25.000 donne (tra i 16 e i 70 anni) intervistate telefonicamente; nell’indagine si prendeva in esame la violenza nelle sue forme fisiche, sessuali e psicologiche ed i maltrattamenti sulle donne, sia all’interno che all’esterno della famiglia.
L’indagine “sistematizza” i comportamenti dello stalking in categorie ed ascrive importanza, nonché rilievo quantitativo, agli episodi di violenza perpetrati dagli ex partner, durante la separazione o dopo, che hanno interessato 2 milioni e 77 mila donne, pari al 18,8% del campione.
Prima, in assenza di una legge specifica, si faceva riferimento giuridico all’articolo 666 del Codice Penale su “Molestie o disturbo alle persone” e relativo alla pubblica quiete; oppure, in alcuni casi, il giudice ricorreva al reato di “violenza privata” o di “Lesioni personali” ma non essendo prevista la fattispecie delle molestie persecutorie in sé, la repressione poteva “scattare” solo quando i comportamenti sfociavano in atti criminosi puniti da altre leggi.
E non mancano i casi di cronaca nera a ricordarci che talvolta fu troppo tardi!
Nel quadro europeo non mancano esperienze legislative sullo stalking , tra gli Stati Membri della UE , hanno una specifica normativa anti- stalking anche l’ Austria , il Belgio , la Danimarca , la Germana , l’Irlanda , Malta , l’Olanda ed il Regno Unito. Altri, hanno introdotto nuovi articoli nei propri Codici Penali e promulgato leggi contro il reato più generico di molestie. Per ricostruire il panorama europeo sono di grande utilità i risultati dei Progetti Daphne, in particolare la ricerca dedicata a “La protezione delle donne dal reato crimine dello stalking: un confronto degli approcci legislativi all’interno dell’Unione Europea”, finanziato dalla Commissione Europea (Direttorato Generale per la Giustizia e gli Affari Interni).
Nelle nazioni in cui esistono provvedimenti legislativi specifici, la procedura attraverso cui lo stalking si configura come reato si differenzia ed emergono diversità, a cominciare proprio dai termini utilizzati per delineare il reato (molestie , molestie persecutorie , belaging , inseguimento ossessivo), ed è per questo che la lettura contestuale offre un panorama estremamente vario ed interessante. Ad esempio, la Danimarca costituisce il caso più eclatante nel panorama normativo europeo , in quanto la norma che punisce lo stalking risale addirittura al 1930 (testo emendato nel 1965 e nel 2004), quando il fenomeno altrove non era neanche percepito. In alcuni Paesi il processo di approvazione ha richiesto tempi lunghi, in altri il riconoscimento dello stalking come reato, è stato molto veloce, legato alla percezione del “problema o allarme sociale” ed accompagnato all’ attenzione crescente che i media hanno prestato ad alcuni casi di stalking.
A parte la Danimarca, il primo Stato Membro dell’Unione Europea che ha promulgato una legislazione anti- stalking, è stato il Regno Unito nel 1997, seguito, nello stesso anno, dall’Irlanda. Tra le legislazioni più recenti, quella di Malta (2005) che include anche la reazione della vittima nella configurazione del reato. Nel Belgio , la legge non ha adottato la definizione di stalking ma quella generica di belaging. Il termine, però, notano gli esperti, ha creato molti problemi nell’applicazione della legge e costituisce quasi un caso di indeterminatezza normativa.
La legge austriaca del 2006, invece, con il reato di “inseguimento ossessivo” è tra le meno generiche ma, a differenza di altri provvedimenti legislativi , non prende in considerazione la reazione della vittima come elemento costitutivo del reato.
Prima dell’Italia, l’ultima nazione europea ad essersi dotata di una legge anti- stalking , è stata l’anno scorso la Germania, che – però – ha inteso perseguire il fenomeno, senza utilizzare espressamente il termine stalking ma quello di “molestie persecutorie”.
Tutte le legislazioni anti-stalking prevedo atti e condotte persecutorie reiterate , anche se non viene specificato – a parte il Regno Unito che indica esplicitamente il numero di due – il numero minimo di episodi.
In linea generale, nelle legislazioni europee anti – stolking , si fornisce una definizione articolata della fattispecie di reato, accompagnata dall’attenzione alla reazione delle vittime e, se esiste un “modello europeo” in questo senso, si direbbe portatore di una definizione meno generica e più attenta alle differenti condotte dello stalker. Ciò nonostante è di tutta evidenza, anche non giuridica, che le modalità e le articolazioni dei comportamenti che configurano il reato non sono e non possono essere mai definitive e “fisse” ed il legislatore punta necessariamente a combinare la determinazione di tali comportamenti con le possibilità estensive di interpretare le infinite forme con cui lo stalking può essere attuato. Insomma, si rendono necessari continui aggiornamenti della legge, proprio a causa della difficoltà di classificare per sempre le condotte di stalking. Esistono, infatti, molti modi e comportamenti stalker, tutti assimilabili e fondativi della definizione stessa del reato di stalking, anche per la provata capacità dello stalker di appropriarsi velocemente di qualsiasi strumento ( si pensi anche alle nuove tecnologie di comunicazione) utile alla pratica persecutoria ed alla condotta molestatrice. Resta comunque elemento “dirimente” nelle diverse legislazioni europee in materie, l’attenzione per la reazione della vittima , se considerata elemento qualificante del reato di stalking; altrimenti, dove non è inclusa nella definizione del reato, si opta per una maggiore attenzione sulle tipologie di comportamenti dello stalker o, più in generale, sui concetti di violazione della privacy.
Oltre l’aspetto normativo in sé, rivestono molta importanza, naturalmente, le esperienze e le professioni di aiuto e gli interventi a favore delle donne vittime dello stolking. Dagli studi in materia emerge che resta comunque difficile individuare il fenomeno e studiare gli interventi per il sostegno delle vittime; la maggior parte degli Stati Membri infatti rimane in situazioni di difficoltà quando si tratta di offrire un sostanziale aiuto legale alle vittime dello stalking ed il rischio è quello che le normative esistenti possano avere una funzione più simbolica che una reale e puntuale efficacia.
Nel nostro Paese, con il ddl approvato dal Governo, si è inteso prevedere i rischi potenziali; occorre la querela della parte offesa (che prima potrà chiedere un ammonimento dello stolker da parte del Questore, previa indagine degli organi investigativi) e la pena prevista da 1 a 4 anni potrà aumentare se il reato è commesso dal coniuge, separato o divorziato o comunque da persona con cui la vittima abbia avuto una relazione affettiva. Altro aggravante, con inasprimento della pena, scatta se la condotta persecutoria è rivolta a persona minore e se la violenza è esercita da un gruppo. Per l’autore del reato, oltre alle misure di detenzione, si può ricorrere anche al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima e dai suoi familiari.
Il Disegno di legge, contenente “Misure contro gli atti persecutori” e composto da sei articoli, nel nostro Paese era atteso da tempo e quando, dopo l’approvazione in Parlamento, lo “stolking” diventerà reato, si avrà uno strumento concreto contro da utilizzare nel contrasto delle molestie ripetute ed aggravate che spesso sfociano in atti di violenza sessuali e, nelle forme più estreme, nell’omicidio passionale.
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