di Enzo Guolo
Vivono come comunità separate dove l’individuo non conta
Aumentano le denunce di giovani donne musulmane picchiate da padri e mariti. Ennesima versione di quella piaga, tanto sottaciuta quanto diffusa nella società italiana, rappresentata dalla violenza in famiglia. Questa volta è una ragazza in attesa di un bambino che, complice Caligola, l’ennesimo anticiclone africano di questa lunga estate calda, si leva il velo, probabilmente la khimara, il copricapo che circonda l’ovale del viso e del collo nascondendo anche i capelli. Provocando la reazione del marito, certo non ignaro che, in quelle condizioni e temperature, il velo rende difficile la respirazione. La brutale risposta del futuro padre che, incurante delle condizioni in cui si trova la moglie, le intima di coprirsi e, al suo rifiuto, scatena la violenza, rivela molto delle tensioni che passano in famiglia, e nei rapporti tra uomo e donna, tra alcune fette di popolazione immigrata nel nostro paese. Fortunatamente la vicenda di Porto Empedocle non è paragonabile a quella di Hina e Sanaa, protagoniste di quella rivolta delle figlie finita drammaticamente nel sangue.Mamostra come la dinamica pubblico/privatoo in termini di cultura islamica, dentro/fuori, resti decisiva, più ancora che i mutamenti che attengono alla sfera della politica, per sondare i cambiamenti che investono l’Islam in Europa. Non è casuale che proprio tra le comunità immigrate della Mezzaluna, il namus, l’onore familiare, diventi, in maniera esasperata in taluni gruppi e individui, un principio che giustifica qualsiasi limitazione di libertà e soggettività femminile in nome del primato della comunità sull’individuo. Nel caso siciliano, oltre che lo svelamento in pubblico, ciò che può aver indotto la reazione è il rifiuto all’obbedienza, inconcepibile non solo in una concezione tradizionale e patriarcale dei rapporti di genere, ma soprattutto in uno spazio esterno come la strada in cui tutto è immediatamente visibile e narrabile. Dunque, anche ciò che disonora. A dimostrazione che in una società in cui le comunità vivono come entità separate, per assenza di cittadinizzazione e serie politiche di interazione culturale – o, comunque, continuano a avere come esclusivo riferimento le originarie identità culturali, religiose, di genere, e i rapporti di potere chele cristallizzano -, il rischio è che tali relazioni “asimmetriche” si fissino. Come se il fuori fosse, ancora, l’altrove di un tempo. E la sola cosa a contare fosse il giudizio della comunità.
la Repubblica – La prevalenza dell’onore
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