Avvenire – Lei si toglie il velo lui la massacra
18/08/2012
di Laura Silvia Battaglia
È successo ad Agrigento: i protagonisti sono un egiziano e una tunisina, marito e moglie
Lei è incinta e rischia di perdere il bambino
Lui è stato denunciato per lesioni personali
L’ennesima tragedia che interessa i migranti e le ragazze di seconda generazione, in fuga da costumi che non accettano come prima
Souad Sbai (Pdl): «Se l’hijab è imposto, non è affatto una scelta ma una violenza»
Avrebbero potuto trascorrere felici e contenti la festività più importante dell’anno musulmano, l’Eid al-Fitr, che conclude il mese di digiuno di Ramadan. E invece no. Adesso lui, il marito, è in prigione; lei, la moglie, in ospedale. Tutto per una chioma fluente scoperta da lei (tunisina) nel momento e nel luogo sbagliato, in pubblico, di giorno, nella via Crispi di Porto Empedocle. Un atto che lui (egiziano) ha giudicato kafir, illecito, da infedele, e che ha deciso di punire urlandole in faccia. Salvo poi, visto che lei non ne voleva sapere di rientrare nei ranghi, darle una scarica di leviate. Con effetti pesantissimi per lei, incinta da pochi mesi: passanti desiderosi di prendere le difese della giovane e pronti a separare i due senza successo, inferociti poi dalle minacce di lui che l’avrebbe lasciata esanime sul selciato, allontanandosi; poliziotti e ambulanza in arrivo sul posto; interrogatorio per entrambi; degenza all’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento e rischio di perdita del figliolo per lei; fermo e denuncia per lesioni personali per lui. E chissà cos’altro nel loro futuro. La ragazza, ventenne, nata e cresciuta a Porto Empedocle, è sposata con l’egiziano diciannovenne da un anno e vive a Torino per motivi di lavoro. La coppia era in vacanza in Sicilia per una visita ai genitori di lei, entrambi tunisini. Parrebbe, secondo quanto dichiarato dalla ragazza alla polizia, che l’origine del litigio, degenerato in un’anticamera di tragedia, sia stata la decisione di lei di togliersi l’hijab, a causa del gran caldo, complice il suo stato interessante. La ragazza avrebbe chiesto il permesso al marito che non glielo avrebbe accordato, anzi le avrebbe inveito contro, fino a picchiarla. Il resto sta già suscitando un coro di proteste, soprattutto da parte politica. Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati del Pdl ricorda un episodio simile occorso qualche giorno fa a Modena: «Una figha viene massacrata di botte perchè voleva vivere all’occidentale. Senza dimenticare le tante “martiri” che hanno perso la vita per difendere la propria libertà». Per la Bertolini è necessario «un progetto di legge per istituire una commissione sulla condizione delle donne straniere in Italia. Fare finta di non vedere che nel nostro Paese vivono esseri umani considerati da alcuni come persone di serie B fa il gioco di chi li vuole mantenere in una condizione di sudditanza». In casi come questo, si potrebbe proporre la revoca del permesso di soggiorno, in quanto questi atti possono essere giudicati come discrimmanti tra i sessi, «in nome di pratiche e credenze religiose incompatibili con i valori della nostra Costituzione». Souad Sbai, presidente di Acmid Donna, tunisina e deputata del Pdl, inquadra la problematica da una prospettiva culturale. Secondo la Sbai, l’Italia dovrebbe ascoltare i messaggi di alcuni teologi musulmani come lo studioso marocchino sheikh Mustafa Mohamed Rashed e il religioso progressista egiziano Gamal al-Banna, prendendo una posizione chiara su tematiche inerenti i «comportamenti» leciti per evitare situazioni come questa e dare un indirizzo comune a tutti i cittadini di fede musulmana. Tanto per Rashed, la cui tesi è stata accettata dalla prestigiosa università dell’Islam sunnita al-Azhar al Cairo, quanto per al-Banna, infatti, «il velo non è un obbligo religioso ma solo una criminogena interpretazione estremista e il mgab è un crimine». Una posizione che non è condivisa da tutti i credenti islamici migrati in Italia ma che, secondo la Sbai, sarebbe «la risposta più evidente a chi ancora vuol farci credere che il velo non è o non sia una scelta e non un obbligo imposto da un certo estremismo che ormai dilaga nel nostro Paese». La questione, riferita soprattutto all’episodio di alcuni giorni fa a Modena, il cui autore è ancora a piede libero, e alla vicenda della giovane marocchina aggredita e picchiata dal padre perchè non voleva sottostare ad un matrimonio combinato, apre altre questioni, molto forti nelle cosidette seconde generazioni di migranti, dove è più intenso lo scontro tra padri e figli, la ricerca di un compromesso tra l’identità culturale e religiosa suggerita dalle famiglie d’origine e il sentirsi parte di una società che ha altri valori: «E evidente - dice la Sbai – che il velo è imposto a queste giovani donne con la violenza, quasi mai scelto liberamente, cosa che le tantissime vittime di violenza ci dicono ogni volta che contattano il numero “Verde Mai Più Sola” per scappare da quel velo». Souad Sbai, come la collega parlamentare Bertolini, fa appello al Ministro Fomero, «affinché dia il via ad un programma di sensibilizzazione e di vero confronto su queste tematiche».
Avvenire – Lei si toglie il velo lui la massacra
[File pdf - 316 Kb]
Stay Connected