di Mariella Gramaglia
Di suo l’Italia aggiungerà la meraviglia delle sue piazze e dei suoi luoghi di ritrovo. Piazza Castello a Torino, piazza del Popolo a Roma, la Galleria a Milano. Ma l’evento del 14 febbraio, giorno di San Valentino, sarà globale. Al ritmo della disco music e con l’addestramento di una coreografa che esercita le sue allieve del mondo intero dal sito wwwonebillionrising.org, donne di 182 Paesi si succederanno a ballare, facendo staffetta a seconda dei rispettivi fusi orari, intorno alle sei del pomeriggio. I lavori fervono e l’ambizioso obiettivo è di un miliardo di creature umane (benvenuti anche gli uomini) che danzeranno nello stesso giorno sue giù per il pianeta. Perché? Per contribuire a fermare la violenza sulle donne. «Spezza la catena. Cammina. Danza. Sollevati». Ritma la musica orecchiabile e popolare. E il manifesto politico aggiunge: «Un miliardo di donne violentate è un’atrocità (a tanto si stimano, una su tre, le persone di sesso femminile abusate nel corso della vita); un miliardo di donne che danzano è una rivoluzione». Nelle prove generali ognuna mette del suo. Molto ginniche a New York, gorgheggianti a Madrid, hip-hop a Berlino, ieratiche e devote allo stile tradizionale a Trivandrum in Tamil Nadu, stregate dai tamburi in Congo. Ma il format è uno solo, globale e inclusivo, secondo lo stile della sinistra democratica americana. Infatti anche gli uomini fanno la loro parte. Un bel ragazzo nero recita in swahili e un altro nella lingua dei segni: «Rifiuto l’insulto, le botte, la pistola; voglio aprire le parti di me che sono state addormentate troppo a lungo». Un parterre regale offre patrocinio all’impresa: Robert Redford, Yoko Ono, il Dalai Lama. L’anima di tutto è Eve Ensler, una testa creativa del femminismo. Nel 1996 ha inventato «I monologhi della vagina», uno spettacolo nato dalla sua tragica esperienza di bambina violentata dal padre, ma debitore a centinaia e centinaia di interviste a donne di tutto il mondo, distillate in una rappresentazione teatrale lunga poco più di un’ora. Un format impagabile, costituito da una parte fissa, uguale. ovunque, e da storie flessibili, da togliere e mettere a seconda della sensibilità di ciascun paese. Un’idea molto economica che ha fatto scuola in tempi di crisi: bastano due brave attrici, due leggii e qualche luce decente, se è possibile. Non sempre è possibile. A me è capitato di vederlo a Chennai, nel Sud dell’India, in un teatrino sconquassato, recitato in hindi e interrotto dai ragazzotti maneschi dello Shiv Sena, il braccio violento della destra induista, una specie di Casa Pound nella versione del subcontinente. Nel Sud del mondo lo spettacolo è stato come un coltello nei cuori, ben di più di un evento cultural-mondano. Infatti ha girato 119 Paesi ed è stato tradotto in 35 lingue. Poco dopo Eve Ensler ha inventato il V Day che rimanda, sia ai suoi monologhi della vagina, sia a San Valentino, la festa degli innamorati, che cade appunto il 14 febbraio. Un accostamento è voluto. Non si dà festa – e tantomeno amore, ovviamente – se c’è violenza. Da quindici anni i monologhi si ripetono e servono a finanziare i progetti per prevenire la violenza e dare sostegno alle donne offese. Ma nel 2010 Eve Ensler ha avuto un’ altra idea. Quella di accostare la lente d’ingrandimento alle adolescenti. Ne ha osservate moltissime, e trasfigurate alcune, che ne riassumano altre, in un libro: «Io sono emozione». Coglie la fragilità giovane nelle spalle incurvate per nascondere il corpo, le insicurezze dei sussurri anche quando si ha qualcosa da dire e dei punti di domanda alla fine delle frasi, la scimmia sulla spalla dell’anoressia e della bulimia. Ma sceglie anche di dare un ritmo alla sua scrittura. Ogni sezione si chiude con una poesia intitolata «Io ballo». Attraverso il ballo si apre una porta verso la libertà. «One billion dance» nasce di h e coglie una tendenza. Le giovani donne sono di nuovo propense a battagliare, ma non intendono farlo alla maniera delle madri. Desiderano che gli uomini le affianchino, ma soprattutto cercano forme nuove. Niente cortei, raduni di piazza, convegni in punta di dottrina. Le loro eroine si chiamano Femen e Pussy Riot, le stimano per il loro coraggio, ma anche perla loro immaginazione potente e per il rifiuto della violenza. Una non violenza senza rese.
La Stampa – Donne contro la violenza un miliardo in piazza a ballare
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