di Giulio Albanese
Abituate da sempre a fare i conti con la quotidianità e con la sfida della sopravvivenza, le donne africane hanno compiuto in questi anni notevoli progressi nella vita politica, economica e culturale a tutti i livelli. Sviluppi significativi hanno innescato una loro maggiore visibilità nella difesa dei diritti, fornendo competenze per sostenere il cambiamento. Sono proprio loro che, di fronte alle prevaricazioni del potere, hanno difeso le prerogative calpestate dai satrapi di turno, dalla Liberia alla Sierra Leone, dal Congo alla Somalia, dall’Uganda al Sudan. Illuminante, a questo proposito, è il pensiero della scrittrice camerunese Werewere Liking, nel suo libro La memoria amputata. Con tono gioioso, parla di miriadi di donne «laboriose che fanno girare instancabilmente la ruota del divenire di questo continente, nell’oblio delle loro storie dolorose e infelici». D’altronde, lungi da ogni retorica, la complessità della questione femminile africana si evince dai numeri: rappresentano il 70% della forza agricola del continente, producono l’80% delle derrate alimentari e ne gestiscono la vendita per il 90%. Le donne, inoltre, da decenni sono protagoniste nella microfinanza, consentendo la nascita di migliaia di piccole imprese. Esse svolgono, in maniera perspicace, la formazione in tanti ambiti della società civile: attività di lobbying, ricerca, educazione civica e nei servizi sociali. Lottano spesso per includere nelle costituzioni clausole di equità contro le discriminazioni. E cosa dire del loro contributo nella difesa della salute, soprattutto da Aids e malaria? Sono loro che svolgono spesso formazione sanitaria nei villaggi, impegnandosi contro le pratiche tradizionali dell’infibulazione e della mutilazione genitale. Ecco perché in Africa il futuro è nelle mani delle donne. Come rilevava il sociologo francese Emmanuel Todd in L’enfance du monde, in quasi tutte le società africane esiste una forte componente matrilineare, che può essere temporaneamente repressa sotto l’influenza dell’Islam o di altre ideologie, ma che poi finisce sempre per riaffiorare. Secondo Jacques Giri, africanista di fama internazionale, è proprio la donna che formerà l’Africa di domani, prima degli uomini, prima della scuola, prima della radio, del cinema o della televisione. Allora, anche se è inevitabile che l’Africa continui a sperimentare le difficoltà determinate dalla povertà e, più in generale, dalla globalizzazione, l’avvenire del Continente è aperto alla speranza. Lo ha cantato a squarciagola nei suoi trent’anni d’esilio Miriam Makeba, testimone della sete di libertà del popolo nero sudafricano, scomparsa il 9 novembre del 2008 a Castel Volturno. La pratica di portare il proprio figlio sulla schiena, trasmettendo il ritmo del respiro materno, è la metafora più efficace per raccontare al mondo che sono loro, le donne africane, la spina dorsale del Continente.
Avvenire – Africa se il futuro parla la lingua delle donne
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